La questione non è semplice. Mettiamola in questi termini: un disco alla Funeral sarebbe andato sempre bene perché malinconico, con le orchestrazioni, eccetera? Mentre Everything Now è paccottiglia perché ha melodie allegre e ritmi ballabili? È questo il discrimine con il quale valutare un album?

Personalmente, le recensioni di questo lavoro mi hanno davvero irritato. Si lamentano di un disco superficiale ma sono superficiali almeno quant’esso. Oppure denunciano fantomatiche musiche brutte, pasticciate, scopiazzate dagli anni Settanta Ottanta. Qualcuno dica che questo disco è «derivativo» (parolaccia orribile), forza! Come se ogni forma di musica – e arte – non derivasse sempre da qualcosa di precedente. Come se Dante non derivasse da Virgilio.

La mia personale opinione è che ci si accanisce contro gli Arcade Fire perché loro sono gli Arcade Fire e devono fare per forza cose grosse, epiche, serie. Ma, francamente, io The Suburbs non l’ho mai sopportato troppo e Reflektor era troppo dispersivo, per avendo alcuni pezzi geniali.

Finalmente un disco breve, fruibile al cento per cento, luminoso eppure capace di trattare temi scabrosi o comunque impegnativi. «Ma no, il rock non può essere solare, non si può far muovere i culi alla gente oltre che appagare le orecchie. È immorale». Poi, fosse un disco veramente brutto capirei.

A me pare che Win Butler e compari mostrino la solita maestria in fatto di arrangiamenti e soprattutto continuino, tredici anni dopo, a saper muovere le loro composizioni, dando quella sensazione di improvvisazione, di istintività, di imperfezione vivificatrice, pur essendo tutto calibrato e pensato.

Anzi, se devo dirla tutta, alcune canzoni mi hanno sorpreso in positivo, per la freschezza con cui mescolano generi e suoni: una su tutte Chemestry, che parte reggae e finisce rock alla Black Keys. O la sfuriata Infinite Content, due minuti impetuosi. Tra l'altro i due brani gemelli centrali riassumono in due minuti ciascuno tutti gli stilemi rock della band da una parte e folk alla Suburbs dall'altra. Come a spiegare che quelle sonorità sono per loro superate.

Criticare questo disco ad un primo ascolto è molto, molto facile. Infatti secondo me parecchie recensioni sono state fatte di getto. Ma cresce moltissimo col tempo e gli ascolti ripetuti confermano solo la solidità delle composizioni. Anche i passaggi più frivoli, che ascoltati isolati parevano inutili, come Electric Blue, trovano la loro dimensione nel fluire del disco. È un album molto organico, che funziona come organismo unico.

Poi gli arrangiamenti mi sembrano davvero validi e stratificati: solo in apparenza semplici, sono pieni di dettagli gustosi per l’ascoltatore attento. Note di basso robuste, giochi alle chitarre, effetti elettronici. Esempio lampante la title track, che richiama gli Abba solo come sonorità, non come qualità e complessità d’arrangiamento.

Anche la ripetizione di ritornelli per innumerevoli volte non è una scelta scontata e soprattutto viene attuata con cognizione di causa. C’è differenza tra essere ripetitivi ed essere martellanti. Questa canzoni sono pop martellante, insistente, perché evidentemente c’è un’urgenza comunicativa. E poi la ripetizione qui viene sempre riscattata sottilmente da variazioni quasi impercettibili, ma essenziali. Potrà sembrare a molti una pura scelta di svendita commerciale: ovviamente è un’opinione e dipende anche molto da quanta credibilità si vuole attribuire a questa band. Io gliene riconosco non poca e quindi credo nella fertilità d’un pop di questo tipo.

I tre pezzi finali sono tra i più apprezzati perché richiamano maggiormente gli Arcade Fire della prima ora ma se vogliamo sono musicalmente meno interessanti degli altri, pur non mancando di ottime soluzioni. Servono a confermare che l’approccio è autoriale, intellettuale, non è una svendita come quella dei Coldplay, come si è letto in giro. Bisogna essere duri d’orecchi per non cogliere tutte le differenze di qualità degli arrangiamenti tra le due band. Insomma, si può essere pop in modo intellettuale. Nel 2017 possiamo dirlo?

Belle le scelte tematiche finali: Dio, il denaro e l’amore. Ma ancor più interessante la scelta di parlare della gioventù di oggi nella prima parte del disco, con uscite un po’ moralistiche ma anche efficaci (in Creature Comfort: «Saying God, make me famous / If You can't, just make it painless / Just make it painless), oppure delle infinite possibilità di accesso a informazioni che si hanno con internet e quindi la necessità di avere tutto e subito. Non mi sembrano temi banali. Ragazzi che restano degli eterni Peter Pan, che non danno segni di vita. Non ho analizzato ogni singola frase del disco, ma anche solo valutando le scelte tematiche e ritornelli, non mi sembra di poter parlare di un lavoro ruffiano.

Come può questo essere pop commerciale e arraffone, se sbatte in faccia ai giovani tutte le loro deformazioni? No, questi sono gli Arcade Fire di sempre, vestiti d’abiti scintillanti, magari per attirare un po’ l’attenzione, ma pronti poi a sfoderare la loro consueta consistenza.

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