Quando uscì "Reflektor", il pubblico non era ancora pronto ad ammettere a se stesso che un disco degli Arcade Fire potesse causargli una gastrite, quindi venne accolto da un plebiscito tale che, a ripensarci oggi, fa solo che sorridere. L’anno dopo, sbrigato l'ingrato compito delle classifiche di fine 2013, si iniziarono già a placare gli entusiasmi: arrivarono i War On Drugs, FKA twigs, Cloud Nothings e cazzi vari. Inutile dire che oggi quel disco è considerato su per giù una merda.
Hai capito? Addirittura si è arrivati a rivalutare al negativo "Funeral" solo perchè i canadesi avevano tirato fuori un disco un po’ fighetto, come se fosse un crimine. Voglio dire, Dan Deacon non era moda? Kendrick Lamar non è moda? I Big Thief non sono un indie rock cool per gli standard di oggi? Di certo farsi produrre un disco da James Murphy non fu una scelta così lungimirante, ma è anche vero che senza il suo contributo oggi non riuscirei ad immaginare l’esistenza di una canzone incredibile come Reflektor. Maestosa, lunghissima, eppure compressa come una di quelle cose che stacchi dal blister e ti cali giù per non dover pensare a domani. Aveva anche un bellissimo stacco italo-disco sul finale, e l’unico motivo per cui l’anno seguente non sono andati in tour con i Chromatics, probabilmente, sta nel fatto che anche i Chromatics li ritenevano scarsi in culo.
"Reflektor" non è stato un fallimento, e nemmeno un coraggioso disco di cambiamento. Fu una roba semplicemente ok, e basta. L’emblema del fallimento per me è Andy Bell, prima chitarrista dei Ride, poi sputtanatosi per andare a fare il bassista negli Oasis, deciso quindi a succhiare ancora un po’ di soldi a Liam Gallagher assecondandolo nei suoi Beady Eye e infine ritornato nei Ride perché qualcuno gli ha detto che le reunion col culo aperto e giù a pigrecomezzi pagano. Nessuno evidentemente gli ha suggerito che, se non sei Jeff Mangum, ste cazzate ti rovinano la carriera e la reputazione di musicista cult.
Gli Arcade Fire invece hanno aperto i loro abbienti portafogli e si sono pagati il disco che volevano fare, azzeccando pure una manciata di pezzi memorabili tipo Afterlife, Flashbulb Eyes e Here Comes The Night Time, con le tastierine che fanno dietrofront e sballano un po’ tutto. Scriveteli voi pezzi così. Senza contare il modo in cui Supersimmetry va alla deriva in un oceano di tastiere al neon. Certo, la scelta di chiamare una canzone Porno fa tanto vecchietto arrapato e ovviamente ci sono dentro un sacco di brani di cui non ricordo né il titolo né la melodia perché tanto cos’è una recensione se non un parere sommario su una cosa che non si conosce fino in fondo?
Penso che lo stesso valga per questo disco. Win Butler, consorte e freakettoni assortiti hanno provato a staccarsi dall’immagine con cui il mondo li identificava. Avevano in mente qualcosa di nuovo, e con quel pallino fisso in testa hanno fatto una roba che non so bene se sia uscita bene o no, ma di certo denota talento e tanta voglia di scopare. E se prima la loro musica poteva essere identificata con le solite parole chiave tipo fisarmonica, blogosfera, anthem e provincia, con "Reflektor" gli AF sono entrati nel mondo del digitale e, se solo tu potessi tornare ad ottobre 2013, li potresti trovare in cima alla Billboard oltre che tra i trend topic di Twitter con l’hastag #telhomessoprepotentementeinquelposto.
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