Ore 15
Sto andando giù al lago per lavarmi i panni e la pelle da quel fastidioso bisogno epidermico-muscolare che avverto: di menare fortissimo il regista di Midsommar. So bene che si dovrebbe stare in casa, eppure sono mosso da una spinta superiore, in questi giorni in cui il cielo minaccia tuoni e l’aria tira gelida le sue corde ai nostri polsi. Invece che sciogliersi in una tempesta, le nuvole paiono compattarsi in un’enorme piattaforma nera che naviga sospesa sopra di noi; una mastodontica lastra industriale, come una zolla galleggiante sul mare ma capovolta nella vaporosa miscela di gas che ci sovrasta e ci dà respiro.
Ore 16
Il vento è un motore roboante.
Ore 16:30
Ho da poco parcheggiato la macchina, sto scendendo il sentiero che taglia incerto la foresta, fa freddo e il tempo è un cappio, ma so bene qual è la mia missione.
Ore 18
Mi immergo nelle membra melliflue e fredde delle acque lacustri. Divento parte del tutt’uno che la natura compone in ogni istante a partire dalla sua entropia; entro nell’eternità bucolica che vive in ogni battito di ciglia, in ogni colpo di coda, in ogni foglia che si abbandona al suolo. Ho forse torto a ritenermi parte della fiaba folclorica che muove la ruota del nostro vivere, del nostro stare assieme? Tutto ciò che so dirvi è che vedo piangere arpie e piovere aghi di pino, materializzarsi le mie visioni amniotiche. Mi unisco al pianto della natura, ritmicamente, fino a sovrapporre i miei gemiti a quelli della creatura che tengo dentro, a sua volta cardiacamente in armonia con la creatura dentro di sé, e così via, anche in slancio centrifugo, in connessione emozionale con l’abbraccio ampio e circolare dell’erba, delle particelle e delle sensazioni che ci attraversano e circondano, ogni giorno, in questa enorme danza corale che è l’arte del camminare e respirare la Terra.
Ore 21
Il blu crepuscolare si fa frizzante sfrigolando nel buio profondo della notte.
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