"Transi", disco risalente al 1994, è la seconda fatica del trio femminile giapponese delle Ars Nova. Dal punto di vista grafico l'album si presenta con una copertina tra il macabro e il grottesco (con uno scheletro che sembra intento a declamare versi poetici…) e se andiamo a scorrere la track list possiamo verificare la presenza di sole 6 tracce per un totale di poco più di 40 minuti (come succedeva per i vecchi LP). Passando agli aspetti più prettamente musicali va detto che, trattandosi di un "power trio" (Keiko Kumagai alle tastiere, Kyoko Kanazawa al basso, Akiko Takahashi alla batteria), la principale influenza delle Ars Nova è rappresentata ovviamente dagli EL&P. I brani, infatti, si fanno spesso e volentieri energici e grintosi con la bravissima Keiko che pesta duro sui tasti d'ebano e d'avorio delle sue mille tastiere ad imitazione del più blasonato ed anziano collega inglese. Ma il "dinamico trio" non è l'unica fonte di ispirazione per la scatenata Keiko (che, lo sottolineo, è l'autrice di tutti i brani) in quanto tra i suoi ascolti deve esserci stato anche quel progressive italiano anni '70 dark ed un po' inquietante che annovera tra i suoi maggiori esponenti il Balletto di Bronzo e i Goblin: si ascoltino a tal proposito "Phantom", breve brano introduttivo che sembra scaturito dalla B side di una colonna sonora di Simonetti (ovviamente per un film di Dario Argento...) o la lunga title track che inizia con un macabro organo e con effetti sonori da film horror fino a che il fantasma di Emerson inizia ad aleggiare sul resto del pezzo in un'alternanza di parti adrenaliniche ed altre più rilassate. Che giudizio dare insomma su questo "Transi"? Al pari dei successivi "The Goddess of Darkness" e "The Book of the Dead" non è certo un brutto album, anzi, ma se andiamo a paragonare le capacità compositive (non tecniche…) di Keiko Kumagai con quelle, ad esempio, di Par Lindh, altro tastierista che si ispira moltissimo a Keith Emerson, allora vengono messi impietosamente in evidenza i limiti della giapponese. Il biondo emulo svedese di Emerson è stato infatti capace di regalarci, nei dischi del Par Lindh Project, veri e propri capolavori del prog caratterizzati da straordinarie melodie e da ricchissimi e raffinati arrangiamenti che non si basano solo sulle sue tastiere ma prevedono l'uso di fiati, chitarre o vere e proprie orchestre da camera (si ascoltino a tal proposito da "Gothic Impressions", la straordinaria mega-suite "The Cathedral" o quel breve gioiellino di "Gunnlev's Round"). Nella musica delle Ars Nova, al contrario, le idee sono molte meno ed è praticamente quasi impossibile rintracciare una di quelle melodie che ti si stampano nella mente per rimanervi a lungo. Le tre giapponesine possiedono infatti molta tecnica strumentale e di quella si accontentano, limitandosi più che altro a pigiare il piede sull'acceleratore del virtuosismo con il risultato di ottenere valanghe di note che però, finito l'ascolto, lasciano qualcosa solo nella mente ma non certo nel cuore dell'ascoltatore.
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