Ebbene si, pare che i gruppi progressive non conoscano proprio confini e spuntino come funghi in qualunque parte del mondo, anche la più impensata. Questi Artsruni, gruppo originario dell'Armenia, confermano puntualmente quanto appena detto e faranno di sicuro storcere il naso ai "puristi" del progressive, quelli cioè affetti da pregiudizi riguardanti produzioni progressive troppo "esotiche" e che si limitano ad ascoltare solamente gruppi made in Uk-Usa-Italy. Ebbene questi prog-maniaci di ristrette vedute faranno bene a rivedere le loro convinzioni perchè questo disco è veramente molto bello e merita tutta l'attenzione possibile da parte di tutti gli appassionati. Il gruppo, formatosi nel 2000, è capitanato dal chitarrista e cantante Vahan Artsruni, coadiuvato da Vahagn Amirkhanyan (chitarra), Arman Manukyan (flauto), Artur Molitvin (basso), Levon Hakhverdyan (batteria) e Lilianna Hakhverdyan (percussioni). La loro musica, quasi interamente strumentale (se si escludono un paio di brevi episodi con cantato in lingua madre), è allo stesso momento complessa ma anche piuttosto orecchiabile in quanto ricca di melodie di notevole gusto che colpiscono l'ascoltatore per la loro bellezza. Le chitarre, elettriche ed acustiche, sono le indiscusse protagoniste della musica degli Artsruni ma dividono il loro ruolo spesso e volentieri con un flauto suonato veramente alla grande con il quale si alternano (o al quale si affiancano) nei ruolo di strumento solista. Il connubio chitarre acustiche-flauto non può non far tornare alla mente i Jethro Tull o i Camel anche se la somiglianza non è mai molto evidente e una componente folk fa spesso capolino. Quando invece il gioco si fa duro e le chitarre elettriche reclamano la loro parte di gloria il tutto diviene ancora più intrigante. I due chitarristi non hanno infatti timore di esagerare con le distorsioni cattive e con la grinta e alle volte si esibiscono in pezzi di bravura degni di Joe Satriani pur rimanendo in un contesto indubbiamente progressive (il flauto è sempre lì a ricordarcelo) alle volte persino spruzzato di influenze etno-folk (si ascolti a questo proposito "Cruzaid part 2" nella quale sembra di ascoltare i Dream Theater alle prese con melodie tradizionali armene). Una nota di merito va inoltre alla sezione ritmica, vivace ed affiatata, ed in particolare al bassista, veramente capace e dotato di notevole buon gusto. In un mare di produzioni progressive che propongono schemi triti e ritriti questi Artsruni brillano notevolmente per l'alta qualità delle loro composizioni e per l'originalità del loro stile, in definitiva una sorta di metal-prog (molto più prog che metal, non vi preoccupate) contaminato dalla musica tradizionale armena (che fa capolino in quelle melodie dal sapore più "esotico"). Una delle migliori uscite del 2002, senza dubbio. E voi tradizionalisti del progressive, per una volta... osate! Non ve ne pentirete.

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