Della serie; meraviglie dalla Giamaica.
Un giorno, Horace Swaby, un ragazzino di sedici anni entrò in un negozio di dischi di Kingston brandendo uno strumento giocattolo, che poi proprio giocattolo non era.
Il proprietario di quel negozio, uno dei massimi produttori di musica giamaicana, si incuriosì e, com’è come non è, il giorno successivo quel ragazzino si ritrovò a incidere un singolo.
Horace Swaby, divenuto da subito Augustus Pablo, si rese poi artefice insieme a nomi come King Tubby e Lee Perry, dell’invenzione del dub, sottogenere del reggae, che lui interpreterà in chiave mistica e malinconica creando dal nulla un inesausto e traballante idioma musicale in minore, il cosiddetto far east sound.
Della serie meraviglie dalla Giamaica, dicevamo..
Anche se poi, a dire il vero, se penso ad Augustus, a venirmi in mente son cose che con la Giamaica c’entrano poco o punto.
Tipo: l’organetto di una ballata folk, o una musichetta infantile. Ma questo è il mio vizio di cercare astruse parentele. E, essendo un vizio, lasciam subito perdere, tenendoci magari solo l’idea di una cosa piccola, per non dire da nulla.
Poi se non amate le cose piccole, o da nulla, lasciate stare Augustus.
In ogni caso qui si parla di quella parolina magica di tre lettere...e quella parolina altro non significa che un trucchetto musicale da due soldi, ovvero eco e riverbero…
E sospensione…
E cose che, in una momentanea sconfitta della gravità e grazie a un ritmo scarnificato e a esilissime melodie, restano in aria un attimo più del dovuto.
Ah, dal mio punto di vista poche musiche hanno lo stesso potere ipnotico di questa strana e dolce psichedelia iper essenziale ottenuta girando intorno a una sorta di minimo comune denominatore del suono.
In questo disco poi Augustus aggiunge un sovrappiù di incanto e una strana ammaliante morbidezza fatta di grazia fragilissima e umile gioia.
Umile, si...
Che umile era lo strumento, quella tastierina a soffio chiamata melodica…
E umile il musicista, un tizio di poche parole folgorato da Jah.
Uno che all’eco e al riverbero sposava suoni talmente fragili, talmente sempre sul punto di dissolversi, che il fatto stesso che non si dissolvessero li trasformava all’istante in energia buona e guaritrice.
E’ musica che fa bene questa. Talmente bene che non c’è nemmeno bisogno di parole, Augustus non canta quasi mai...
E comunque, in sintesi, la grandezza del disco è che, pur rimanendo all'interno di un genere ben definito, riesce a trasmettere in modo semplice e per così dire naturale una sensazione di ingenua trascendenza. E quel che più commuove è come questo risultato sia raggiunto in assoluta povertà di mezzi, con uno strumentino tra il flautino e la pianola e musichette che non si sognano nemmeno per un momento di alzare la testa
Quindi ascoltate e chiudete gli occhi...poi riapriteli...chissà, forse le cose d'intorno vi appariranno diverse...
Augustus Pablo, morto alla fine dei novanta, è stato un gigante della musica giamaicana. Ha inciso moltissimi dischi, suonando spessissimo anche in quelli di altri.
Se ho scelto “East of the river nile” è solo perché è il primo che ho sentito...e, credetemi, quel momento me lo ricordo bene.
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