Ogni tanto mi chiedo se recensire (o come qualcuno dice "epigrafare") queste bande sconosciute serva davvero a qualcosa. Cioè, se recensisco il nuovo disco degli U2 avrà di certo più commenti, avrò di certo più interazione. Se recensisco il nuovo dei Ride ho lo stesso immutabile effetto; quindi perchè?

La musica è arte e fin tanto quando c'é la possibilità di far emergere dal pattume qualcosa di luminoso, sia diamante oppure fondi di bottiglia, io lo faccio. Lo faccio per la comunità e senza chiedere soldi. Purissima ricerca.

Anarchia delle proposte, nessuna regola su chi, cosa, come e quando parlarne, libertà e sregolatezza, ignoranza e socialismo 2.0.

Qui a Bologna disteso a letto con un tramonto Vietnamita, i colli dal sapore tropicale e un freddo che da un giorno all'altro spezza le ossa e le rincuora. Ascolto un disco che non ha nulla da dire più di quello che altri gruppi hanno voluto già esprimere; a morte i sentimenti, a morte la nostalgia ma non avvertitemi prima d'essere pugnalato.

Così sento un twee pop estremamente sbarazzino, noise pop da centro sociale hipsterizzato, attivamente propositivo verso la gentrificazione del guasto. Sento l'hardcore melodico fin troppo viscerale dei Superchunk e una sola volta le chitarre bavose dei Seam (ci mancherebbe) e non mi stupisco dei cambi umorali e dei cambi atonali. Non mi stupisce l'assenza di sperimentazione ma nemmeno di catch-ismo da Clinton-Era.

Mi dilania il cuore questo oceano di luci e vorrei tornare a farmi cullare dalle martellate a glande secco degli Shellac, vorrei tornare nella lucida oscurità allucinata e farmi pungere dal terrore di non vedere più la luce. Forse la luce non è sempre calda, forse la luce non ha calore e nell'oblio del buio più totale c'è la salvezza. C'è.

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