Questo è un disco pieno di difetti quanto di buone intenzioni, di idee carucce messe malamente a fuoco e realizzate con eccessiva approssimazione. Ed è un disco che non aggiunge nulla di nuovo, né all'allora (ed oramai ben poco) enigmatica figura di tale Jas Mann, l'unico uomo-parco nazionale, né tantomeno al suo genere musicale, a questa sorta di space-rock da radio.

Le cose che non vanno sono più o meno le senguenti: la voce di Mann, stridula e troppo compiaciuta, nulla a che vedere con l'oscurità affascinante delle strofe della sua celebre "Space Man"; la sua inevitabile, "geografica" attitudine a strascicare le parole quando canta, soprattutto le ultime due sillabe, colpa d'una pronuncia troppo english per le mie orecchie; il non avere alcun brano della potenza di "Space Man", ragion per cui il single fu l'inno col boogie intorno "All The Money Is Gone", semplicemente bruttina.

Volendo esaminare il lavoro nell'insieme, la carenza sembrerebbe più che altro progettuale: vi sarebbero meno della metà delle ambizioni di "The Boy With The X-Ray Eyes", cosiccome della convinzione e, perché no?, della vanitosa sbruffonaggine del multietnico Jas.

Come se avesse perso sicurezza in sé, preferisce affidarsi all'insegnamento dei vecchi grandi, non rielaborando la propria ricetta ma roproponendola para para, permettendosai solamente il vezzo d'arrangiare secondo canoni space e freddini. Vi è glam rock tradizionale, il boogie della sucitata "All The Money Is Gone", una cover dei Mott The Hoople (che, guarda guarda, sarà il secondo ed ultimo singolo), ed una serie di ballate (le suddette idee carucce ma malamente realizzate) che richiamano, chi meglio chi peggio, il David Bowie lunare di "Ziggy Stardust", senza mai riuscire nell'intento d'essere allo stesso modo suadente ed ipnotico. E se pensiamo che, nella stessa decade,  il duca aveva tirato fuori sonorità ben più ardite di queste in "Earthling" e nel celebre "1.Outside", allora abbiamo capito: era ora di chiudere lo zoo.

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