All'ottava prova sulla lunga distanza, Accetta e continua (Garrincha Dischi/Sony Music) prosegue la marcia inarrestabile dei Bachi da Pietra rivolta a illuminare le oscurità delle nostre visioni sul mondo. Se da una parte il discorso testuale si estende sull'attualità, il suono plumbeo risente di influssi elettronici, merito del synth di Batelli (anche al basso), mettendo in fila una perfetta macchina macina musica densa e calibrata, cadenzata in modo avverso, in un'epoca dove tutto corre e fugge via e l'attenzione vive di sommarietà, dove pure il nostro prossimo non ha più tempo per il suo simile.
Il metodo strutturale dei brani sovverte la concezione di questo mondo speed 4.0, laddove l'apporto dinamico di Dorella (drums) imprime la caratteristica di sottolineare la gravità e la pulsione delle track - lo stesso fa il lavoro alla voce di Succi - cosicché davvero l'ingranaggio Bachi da pietra si conferma primario nella musica italiana rock, spiccando per originalità.
Ma non è soltanto rock quello dei Bachi, in loro convivono diversi generi: metal, pop, art rock, dance, duttili al dialogo con l'ascoltatore e che fa subito presa. L'influsso dello scorso Reset (2022) si riverbera in alcuni brani di Accetta e continua, non recidendo quell'ispirata creazione dai suoi disinvolti spunti stilistici, armonici, poetici, ribadendo con ancora più esacerbante tensione e inquietudine il mood abrasivo e lanciando granate di spessore attraverso il timbro vocale di Succi, il quale eleva il tiro delle declamazioni, compiendo un prodigio musicale che riluce commisto alla finezza sonica rilasciata dai compagni: un esempio è dato da "Nel mio impero", dove il connubio uomo-macchina, uomo-tecnologia viene estremizzato in un rapporto di sudditanza in cui ciascuno, in forma impari, ha il suo bel tornaconto.
In corrispondenza col precedente, "Mai fatto 31" si chiama fuori dai trend della vita social e da quella tendenza personale che appartiene a molti, cioè, d'esser saputelli. Il brano seduce per il magistrale crossing che relega a un'intensa musicalità.
La sequenza dei pezzi continua irresistibile. Probabilmente le 'vittime' prescelte dai Bachi in "Buster Keaton" sono i critici musicali; se ne denuncia il lavoro delle parti (musicisti e critici), ben distinto nelle funzioni e negli esiti (ahi!), quanto geniale nell'acquisire la metafora impiegata: adottare il famoso comico del cinema muto (proverbiale perché non rideva mai). Così il triste BK, icona della risata, lo si identificherebbe nei Bachi, mentre i critici sarebbero quelli che giudicano (irridono).
"Un lampo e noi" entusiasma e innalza il vigore e la partecipazione grazie alle scariche delle pompate del basso, vellicate dalle dissonanze della chitarra e impresse dalla destrezza del drumming, sfociando in un bagliore spirituale da cinebrivido, col fattore positivo di spingere emotivamente il pathos al top e lo stazionare lungo una sospensione catartica nell'ozonosfera. Godimento assicurato, almeno sino al termine della combustione planetaria – boom, "Basta poco, che ce vo'! (Cit. G. Covatta).
"Invano" rinasce nelle profondità e dalle mutazioni fin qui vissute. Un incubo affascinante e caleidoscopico dalle tinte infernali di mondi sconosciuti after death, o ad essi paralleli. Nell'heavy mood concepito le conglomerazioni si dissociano entro una spessa/eterea patina dissolvente e attraente, dovuta alle vitree soffiature elettroniche (esse rifulgono anche nel quasi punkcore di "Al belcanto") che travolgono come una slavina e la psychedelic-wave investe di spaventoso turbamento, inventando un eccezionale horror-glamour.
"Al becanto" è bella come una mela avvelenata. La poesia cade nel malsano, poi nello psicotico, infine crasha interamente nella rivoltante cronaca. La track è un viaggio scioccante, presa nella spirale del synth e nel battito incalzante di basso e batteria che conducono una notturna battuta di caccia all'uomo (alla donna!) spietata, il cui epilogo è lobotomizzante. Le visioni, qui condensate, accendono un riflettore che personifica certa malattia mentale osservata dalla loro lente. I Bachi si pongono al di là del mero atto artistico valicandolo, portandosi (Succi primattore) sulla ribalta del teatro della disumanità.
Nella triade finale, che mette in riga "Mussolini", "Fuori c'è il vicino" e "Accetta e continua", l'escalation subisce un ordine crescente di intensità sino a raggiungere l'acme. "Mussolini" avanza ipnotica, angosciosa, Giovanni Succi mantiene l'aplomb morboso e la lucida enfasi col possente caratteristico cantato, tenebroso, soffuso. Ci si infarcisce di ironia, di trovate ammirevoli ricche di sarcasmo e denuncia dei cliché, facendosi beffe del Duce e del sistema: "Super trend, top twenty/ Sempre trendy, anni '30, anni '20/ Quelli sì che sono stati marketing vincenti" - e ancora - "Un uomo probo, un uomo solo/ Un uomo forte, un uomo nuovo/ Un bracciante in campagna, un futurista in città/ Un ammiraglio da spiaggia, un romagnolo in frac".
"Fuori c'è il vicino" dà conto, forse presa da un fatto di cronaca (la violenza di questo mondo è in questo album rappresentata perché condisce le nostre quotidianità), di una situazione sciagurata, catastrofica ed estrema di vertiginoso contrasto; da un lato oltrepassa il vivere civile sfociando nell'odio puro omicida, e dall'altro lo argina con coscienza, la ragione mantiene sotto scacco gli impulsi indirizzati verso l'irreparabile.
"Ora fuori c'è il vicino, completamente fuori/ Sbraita alla mia porta, ce l'ha con noi/ Siamo io, la mia donna e il bambino/ Chiusi dietro questa porta, e fuori c'è il vicino...// ... Tengo chiusa quеsta porta o mi rovini il destino/ Dare a mio figlio un padre o un padrе assassino". Succi, dal fuoricampo, entra assolutamente in simbiosi con la scenografia sonora offerta; il battito della batteria incede oltremodo sinistro e fortemente realista.
A questo punto la title track esplode letteralmente liberatoria, magnifica e rock-ultra; viene da ringraziare per tale afflato sonico, provvisto di cotanto impianto ritmico micidiale - il giro di basso è una giostra che ci salva dal baratro - su cui svetta il portentoso ruvido cantato e la fendente chitarra di Succi. Eccoci all'acme!
Si mette giù quel carico che fa da asso pigliatutto e devasta con sommo piacere luoghi comuni, fascismi, banalità, asservimento digitale ai padroni del web, invasori e plagiatori di menti, saccenti, guitti, malevoli, oppressori e farabutti d'ogni risma... l'inciso è amletico e arguto:
"La storia dei è divisa, in un dopo e in un prima
Abbandona oppure accetta e continua
Senza alternativa, o così o così".
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