Le litografie di Gustave Doré vengono rispolverate per l'occasione.
E' il 2007: lo impone il venticinquennale di "How Could Hell Be Any Worse?". Non sono ammessi passi falsi.
Verissimo, l'ultimo "The Empire Strikes First" è stato generalmente ben accolto, "Sinister Rouge" pestava bene, ma concreta è la sensazione che il merito sul campo abbia ceduto il passo al timore reverenziale. Occorre un pezzo da (anni) Novanta, non una mossa da scafati mestieranti.
E il crossbuster impresso sul cd, fortunatamente, è prontamente onorato: è affresco epico, poderoso e appassionato quello volto ad immortalare le nuove mappe dell'inferno.
"New Maps of Hell" (dal titolo dell’omonimo romanzo di Kingsley Amis) sarà ricordato per essere il primo vero ritorno al passato del Bad Religion: nessuno si sarebbe lamentato di una sua ipotetica incisione nel 1992, essendo esperto compendio dell'immediatezza di "No Control", dell'incedere maestoso di "Against the Grain" e delle velleità sperimentali di "Generator". E' la spontaneità della composizione ad essere immediatamente percepita: non c'é più quell'affannosa esigenza di apparire panc a tutti i costi (vedi l’inizio di "The Process of Belief") o di essere tollerati dalle masse sputtanando Bush jr.con singalong da compilation. L’unico monito da cogliere è: abbattere le istituzioni costituite, con la consueta dose di raffinatezza. Del resto, c'è un 1982 da eternare con autoreferenziale naturalezza.
Gli ultraquarantenni avranno i conati, ma “New Maps of Hell” sfoggia il miglior incipit su disco del sestetto di Canoga Park: le prime cinque tracce travolgono senza soluzione di continuità, non lasciando prigionieri. “52 Seconds”, per testi e musica, altro non è che una reprise della fulminea “Change of Ideas”; “Germs of Perfection” fa sembrare 28 anni un lustro e “New Dark Ages” è la più esaustiva sinossi del verbo Bad Religion, esaltata da una sezione ritmica sempre impeccabile.
Ma il salto di qualità è affidato a “Requiem for Dissent”: botta clamorosa, ultima chiamata alle armi di una rivoluzione senza tempo. Solo i Bad Religion potevano resuscitare in maniera così eccitante il giro più trito e svenduto del pancroc; epica arrembante che si slingua “Against the Grain” (“Operation Rescue” riecheggia nostalgica come non mai), la “No Control” dei Duemila ha nell’immediatezza la sua lancia più affilata, evidenziando impietosamente come alcuni capiscuola non abbiano bisogno di epigoni.
Il track by track snocciola lo scroto, lo ammetto, ma come fai ad omettermi l’intreccio vocale di “Heroes and Martyrs”, la commossa ariosità di “Grains of Wrath” o l’impronta heavy di “The Grand Delusion” (arrangiamento davvero originale)?
Si puà solo plaudere ai Bad e alla loro costante abilità di tratteggiare sfumature sempre nuove ed eleganti della loro epopea trentennale: il professor Graffin firma il folk supersonico (non a caso la pubblicazione del disco, battezzato originariamente “The Ultra Tyranny” e previsto per il 2006, è stata posticipata a causa della edizione di “Cold as the Clay”, opera solista di Greg) che chiude l’album, una “Fields of Mars” ispirata dall’utopia di un futuro senza guerre; l’appassionato nichilismo di Gurewitz rinnova con spietato realismo il crudo scenario di “Heaven Is Falling” (“Murder”). Al solito, una delle più raffinate coppie di scrittori del rock.
Benché non sia un capolavoro, “New Maps of Hell” è comunque opera solidissima. Sia nella realizzazione, con sonorità taglienti ed abrasive che relegano il terrificante rap del 2004 ad appassiti ricordi, sia nei contenuti. Un difetto? Forse la barocca ridondanza di alcuni pezzi (“Lost Pilgrim” e “Submission Complete” su tutti). Nonostante ciò, il dischetto in questione rimane una succosa opera antologica, fatta di rimandi, autocitazioni e nostalgie pronte ad ammaestrare il più acerbo dei neofiti.
P.S.: dalla corposa tracklist è stata espunta “New Chapter”, a detta di Jay Bentley perché “it ran into insurmountable issues that we couldn't rectify. Maybe we can give it a try next time again...”.
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