Leccando il dorso del Bufo Alvarius riesco finalmente a masticare il Presente mentre i progetti e le reminiscenze si sciolgono nell’acido sfrigolante di spirali chitarristiche forgiate da Efesto. Una cacofonia di sensazioni attorciglia la mia guida malferma.
Dove sono?
Nello stomaco di uno space-rock pantagruelico formicolanti succhi gastrici corrodono il Tempo e la ciclicità psichedelica di radiazioni iper-noise sfigura orrendamente la linea dell’orizzonte.
La sigaretta che mordo tra le labbra brucia velocemente come un amore estivo e percussioni crude e rovinose battono in testa come un amore disperato.
Attraverso il parabrezza scorgo cumuli di nubi rigonfie di feedback dove filtra una luce giallastra che presagisce una tempesta elettromagnetica; l’aria è afosa, la stasi è palpabile e rombano inconfondibili scariche Sonic Youth.
Dove sarò?
Coordinate sovrapposte e fuse in un magma psichico che paralizza i movimenti come un’incandescente colata lavica e guizzanti schegge sonore ustionano la carne come lapilli impazziti vomitati da eruzioni vulcaniche.
Fermo la macchina, scendo, non è ancora finita. Ingoio il rospo e inabissandomi nel dedalo delle percezioni attendo “Amen 29:15”, attendo la liturgia finale e sciolgo lo Spazio sotto la lingua.
E allora finalmente vedo. Un plumbeo mare oltremondano dove una litania si stira e si rapprende, dà e toglie, perde e guadagna; una staticità apparente dove la sacralità dei Popol Vuh è sciolta nei miasmi interstellari degli Ash Ra Tempel creando una sacralità orbicolare degna della fissità dell’occhio di un Dio.
Dove sono stato?
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