Geografia, vecchia passione! Si dice "leggere una mappa" e raramente un'espressione idiomatica si rivela tanto azzeccata, perché una cartina geografica è come un libro, nel quale montagne, pianure, mari, fiumi possono quasi rivelarsi pittogrammi che sanno raccontare storie e vicissitudini. Basta ad esempio un rapido sguardo a una cartina del Mediterraneo per rendersi conto che le sue penisole sono come dita protese verso sud, ad eccezione della penisola Anatolica: lei ostenta tranquillamente il suo orientamento est - ovest (o viceversa?), ponendosi come un ponte fra due continenti del Vecchio Mondo, primizia dell'oriente per gli Europei, porta dell'occidente per chi proviene dall'Asia.
Non perdeva mai occasione per ricordarlo nelle sue interviste Baris Manço, padrino dell'"Anadol Rock", superstar multimediale del panorama turco fra gli anni '60 e il 1991, anno della sua prematura scomparsa. Attore, showman, amatissimo personaggio televisivo, ma soprattutto polistrumentista e cantautore, Manço ha sempre dimostrato la sua capacità di essere cittadino del mondo, formandosi fin da giovane in lunghe permanenze in Francia, Inghilterra e Belgio, accogliendo il fascino del rock psichedelico (poi anche progressivo) e della cultura hippy e unendolo alla sua smisurata passione per la musica tradizionale anatolica. Caratteristiche che Baris sapeva esternare anche nel suo look, che normalmente campeggia in tutte le pagine dedicate alle peggiori copertine di sempre: lunghi capelli neri, baffi a spioventi, mantelli e accessori che rimandano al passato ottomano; un po' pacchiano, forse, ma con qualcosa di unico e magnetico.
Dopo aver inanellato una serie di successi in patria in formato 45 giri, Manço, accompagnato dalla sua nuova band Kurtulan Ekspress, arriva al formato LP, inteso come lavoro organico e non come mera raccolta di successi, solo nel 1975, e lo dedica al suo Paese in chiave futuristica: 2023, infatti, segna il centenario della rivoluzione di Mustafa Kemal Atatürk, padre della Repubblica Turca concepita come stato laico, moderno, filoeuropeo. Manço canta in turco, ed è davvero difficile dire come immagini il suo Paese, a meno che non si decida di spendere qualche oretta con un traduttore online, il più delle volte totalmente inaffidabile. Meglio allora affidarsi alla sua musica, nella quale si realizza una fusione emozionante fra melodie tradizionali, pop rock, ambizioni "space" e progressive fino a sfiorare sfumature funky.
Già nell'apertura, affidata al brano Acıh'da Bağa Vir!, le melodie orientali accompagnate dal tradizionale saz sono sostenute dal robusto suono del sintetizzatore Korg, con un tono nasale che fa pensare a certi passaggi di Tarkus degli ELP. Sintetizzatore, Solina e svariati effetti elettronici ricorrono più volte, spesso in maniera ingenua (o anche maldestra), riuscendo comunque a creare un'atmosfera solenne, a tratti malinconica. Lo strumentale 2023 segna le coordinate su cui si costruisce la struttura dell'album, passaggi melodici e non privi di epicità, un uso misurato e felice dei fiati (sax e flauto) che in certi momenti porta la musica vicina a prog mediterraneo degli Osanna o ai gruppi più sinfonici della scena tedesca (Novalis, soprattutto). Percussioni e chitarra wah-wah formano l'ossatura per la misteriosa Yolverin Ağalar Beyler! e la soffussa, incalzante Kol Bastı!
Nella tradizionale Uzun İnce Bir Yoldayım! la calda voce di Manço viene quasi ospitata dal controcanto affidato al flauto e dai tappeti cosmici affidati all'organo, mentre la narrazione epica della suite Baykoca Destanı passa con grande facilità fra pop ritmato al limite della disco, passaggi elettronici e stacchi in temi dispari condotti con una semplicità sorprendente. Al centro dell'album si fa apprezzare Yine Yol Göründü Gurbete, inno solare e accomodante come se i Moody Blues fossero nati a Istanbul.
Ascoltando 2023, considerando che ormai siamo giunti all'anno cantato nei suoi solchi, non si può fare a meno di chiedersi quanto l'attuale Turchia di Erdogan corrisponda alla visione che Baris Manço ha affidato al suo primo album. Baris, però, in turco significa "pace", e anche senza comprendere una sola parola, nella sua musica si respira sicuramente la sensazione di pace e conciliazione fra le anime di Manço: musica che, con forti radici nella propria identità nazionale, apre gentilmente il suo orizzonte al mondo intero.
Carico i commenti... con calma