“E mentre tutto brucia, c’è un fiore che non muore mai”.

La catastrofe è particolarmente presente nell’ultimo album dei Baustelle (il decimo), che a dispetto delle sonorità lucenti, dei toni estivi, dell’immaginario californiano-vacanziero assesta una serie di bordate non da poco. Sia chiaro, Bianconi e soci frequentano da tempo i temi distopici (chi si ricorda de “Il liberismo ha i giorni contati” del 2008?), ma forse per l’età anagrafica che avanza, forse per le pieghe inquietanti degli ultimi tempi, sembrano oggi più vicini, cogenti, scontati quasi.

La domanda dunque non è più se siamo o meno nei gorghi del male, questo è lo sfondo. Ciò che interroga Bianconi è il passaggio successivo: assodato che tutto sta andando di merda, cosa possiamo fare noi che quell’abisso lo vediamo, ne comprendiamo la portata e le cause, ma non possiamo sottrarci a esso?

Vi piacerebbe sapere subito la risposta, ma prima facciamo un passo indietro. Sigla!

“Porno è la bellezza se il degrado va veloce

Porno, come tu la vuoi

Ho trovato un solo modo di essere felice

So che tu mi capirai

Essere adorati in questo mondo vuoto e atroce

Carne in mezzo agli avvoltoi”

La disamina dei mali del mondo (senza però fare troppe “prediche”) è sempre stato uno spunto fertile per i Baustelle, ma questa volta mi sembra che ci sia qualcosa di più, una lettura più lucida e meno mediata. Questo disco si immerge senza preconcetti nel flusso della nostra epoca, è intriso di parole, punti di vista, dinamiche sociali, politica, ecologia. È un'epoca di grandi aberrazioni e angosce, che possiamo raggruppare in alcune macroaree.

Ambiente ed ecologia. Forse il cardine di tutta la visione catastrofica. Il mondo brucia, il futuro è zero, programmato così dalla generazione precedente (“Amore tossico”), un “pianeta che si scalda e va verso la desertificazione” (“La nebbia”). Non a caso la copertina ritrae un paesaggio verdeggiante minacciato da un fascio di luce e calore quasi innaturale.

Social media.

“Bello, non odiarmi

Non filmarmi mentre brancolo

Nel buio del sedile posteriore

Nelle mani del Signore

Stronzo, non lasciarmi

Fammi male mentre parlano di noi

Al TG1 della sera

Maledetta primavera”

Capostipite in questo senso è “Una storia” che parte da un fatto di cronaca, tra violenza e social media, giungendo a constatazioni non da poco: “In questo video non c'è la prova certa di un senso”. È la generazione Z immersa a capofitto nei reel di TikTok, che progressivamente annullano la possibilità e la capacità di costruire un pensiero logico-razionale.

I social tornano in “Lanzarote” nella loro veste più frivola e vacanziera.

“E tu sei già in vacanza o resisti

Ai tuoi cliché qualunquisti?”

Bellezza e pornografia. A questo ho dedicato la sigla (“Filosofia di Moana”). Strettamente collegata ai social, ma non solo, la bellezza oggi è quasi solo pornografia. “L'imitazione dell'amore” è quella di Onlyfans e dei social.

“Scrivo pensieri inutili sul telefono

Poi mi spoglio per poco

Cerco quella vertigine che non c'è.

C'è come diffusa terapia contro il dolore

Un proliferare osceno di emozioni e cuore”.

La politica. Indegna, solo qualche breve accenno. “C'è il ministro dello Stato che è un coglione e propaganda l'odio”. Ci sono Trump e la Le Pen, ma non meritano commenti.

In questo vaso di Pandora sembra difficile trovare un motivo di speranza, ma soprattutto sembra difficile vivere. È vero, eppure qualche ipotesi emerge, pur figlia del nichilismo inevitabile di cui sopra. È come se il parossismo della catastrofe costringesse in qualche modo a una maggiore sincerità e disvelamento di sé.

“Spogliami di tutte le certezze e gli anestetici

Ormai non sento niente

Quindi spogliami dei trucchi, del cinismo, dei cosmetici

Il quadro è deprimente”

Smettiamo almeno di fingere. Salviamo quanto meno la nostra umanità, gettiamo via i sentimenti tossici. È una magra consolazione, ma non è la sola.

Bianconi le prova tutte, accanitamente attaccato alla vita come cantava sette-otto anni fa. La salvezza può essere psichedelica e/o banalmente materiale (“Amore tossico”), può essere egomania (“Moana”), può essere la semplice constatazione che la vita continua (“Noi disperatamente ancora vivi, sì"). E ancora, possiamo affidarci a una sorta di atarassia e distacco da tutto, anche dalla comprensione di ciò che accade (“Sеnza più cercare di voler capire questa vita che senso ha”, “un volontario naufragare nella realtà”).

Oppure, più potente di tutti, l'unione di sentimento che riscrive le percezioni e il ritiro escapistico in se stessi (“E chiudere gli occhi, perché tranne la mente non c’è nient'altro da guardare”).

Il tutto scorre magnificamente in 35 minuti di musica collaudatissima, leggera ma riccamente decorata e varia, con ritornelli killer e texture folk-rock intriganti su strutture asciuttissime. Forse l'esito migliore del gruppo dopo la svolta “smaccatamente pop” del 2017.

Canzoni di tre minuti, toni agrodolci, sapidi contrasti tra musica vivace e parole acuminate. Nessuna supponenza, anzi, il merito di voler ancora esplorare ciò che accade intorno, invece di arroccarsi in pose autoreferenziali. Testi che sicuramente rappresentano un'eccellenza nel panorama italiano.

Carico i commenti...  con calma