«La sua musica è il rumore prodotto dallo stesso autore, mentre cammina con gli stivali sulla tastiera del pianoforte.»
(uno sprovveduto musicologo parlando di Beléa Bartók)
Per Béla Viktor János Bartók, non si può negare, il pianoforte ebbe un ruolo centrale per la sua ricerca musicale.
Questi 8 dischi raccolgono tutti i lavori principali per piano solo del grande compositore ungherese (se fosse nato oggi sarebbe rumeno).
I suoi studi partirono e si concentarono sui canti popolari (in special modo ungheresi e rumeni), va sottolineato che Bartók fu un precursore dell'etnomusicologia, questo anche grazie all’amico e collaboratore Zoltán Kodály, studioso e conoscitore raffinato di musiche popolari.
Béla Bartók rimane uno dei maggiori esponenti della musica novecentesca, è tra i pieonieri della dodecafonia, ma è specialmente, come detto, partendo dalle musiche folkloriche che rinnovò il linguaggio musicale.
Ma veniamo alla musica contenuta in questo cofanetto, mi limiterò a brevi accenni su quelle che ritengo opere imprescindibili per ogni vero appassionato di pianoforte ma soprattutto di musica.
Il primo cd si apre subito con un opera fondamentale del compositore, ovvero le "14 Bagatelle" del 1908, la cosa che subito salta all'orecchio (anche più profano) è come le strutture armoniche si liberano nello spazio sonoro, allontandandosi dal sistema tonale; a questo risultato, Bartók, arrivò studiando le scale di canti popolari ungheresi. Si trovano riferimenti anche a Debussy ma soprattutto, e non solo dal titolo, all'ultimo Beethoven pianistico, sia per il mezzo usato (la tastiera) che per una personale ricerca sonora intima. Il fatto che gli episodi delle 14 bagatelle siano piuttosto brevi in durata ed essenziali nella loro forma fa capire come l'opera prenda le distanze dal romanticismo. Le Bagatelle sono una delle prime composizioni che mostrano il Bartók futuro.
"Rapsodia Op.1" (1904) qui nelle due versioni (quella lunga circa 18 minuti e la versione breve, circa 10 minuti) poi sarà scritta successivamente anche per orchestra. L'opera ha come riferimento Lizt, ma è il primo, importante passo verso le successive e innovative composizioni del Maestro.
Le "2 Elegie" (1907-08) non erano amate dal compositore, perchè da lui ritenute troppo piene di note e di stampo romanticista, ma io non posso non citare la seconda "Molto adagio, sempre rubato" espressiva e dolorosa, forse sì un po' enfatica, ma, è più forte di me, non riesco a non farmela piacere.
Tra le composizioni non ancora completamente a "fuoco", dove Bartók è ancora alla ricerca della poetica che alla fine lo contraddistinguerà, possiamo inserirci: "4 pezzi per pianoforte" (1903), "3 Burlesques" (1908), "7 Schizzi" (1908), "2 Danze rumene" (1909-10), "3 Canti popolari del distretto di Csik" (1910) e "4 nenie" (1910).
Arriviamo, invece, ora ad un capolavoro come l'"Allegro barbaro" del 1911, una composizione di circa 2 minuti e mezzo, forse il suo brano pianistico più conosciuto, ma che all'epoca fece gridare allo scandalo per furore e potenza espressiva, dove il percussivo incedere sulla tastiera crea una martellante e arcaica trama ritmica, una sorta di fusione/collisione tra l'epoca moderna e le origini dell'uomo. Un brano di una forza vitale davvero impressionante. Per la cronaca, ricordo che "La sagra della primavera" di Stravinskij non era ancora stata stesa definitivamente e i punti di contatto poetici tra queste due opere sono rilevanti.
Altro brano interessantissimo è "Suite (Op.14)" del 1916, dal sapore popolaresco. Qui tutti gli studi fatti dal pianista sulle musiche folkloriche sono giunti a piena maturazione, ora non solo si appropria e rilegge i temi popolari, ma è lui stesso a (re)inventarne (un altro punto di contatto con Stravinskij, quello "neoclassico"). Ma veniamo all'uso del mezzo, il pianoforte, in questi quattro movimenti, che compongono l'opera, è dissonante, asciutto, nervoso, fino ad arrivare al "Sostenuto" (l'ultimo movimento) lento ed intensissimo, come se fosse un ripiegamento meditativo su se stessi/o.
Il terzo cd contiene i 4 libri che compongono l'opera pedagogica "Per i bambini (su melodie popolari ungheresi e slovacche)" del 1913 (qui proposto nella revisione del 1943). È Vero che è un metodo di studio per imparare il piano (si parte da semplici pezzi e via via sempre più difficoltosi) ma è altrettanto vero che queste semplici strutture fanno risaltare e comprendere la sensibilità pianistica ed interpretativa del suono, elementi tanto cari al Maestro.
Anche "Mikrokosmos" scritto tra il 1926 e il 1939, è opera per imparare il pianoforte moderno, sono 153 pezzi (tra cui 6 con due painoforti e 4 cantati), sempre in ordine progressivo di difficoltà e diviso in 6 libri. I pezzi sono tutti brevissimi (la durata media è di 60 secondi). Comunque non ci si lasci ingannare dal fatto che questa sia opera didattica, qui siamo nell'essenza dello stile pianistico/compositivo di Bartók. È subito evidente come ogni singolo tasto, ogni singola corda che vibra, ovvero, ogni singola nota è non solo fondamentale, ma è già un micromondo assestante, sono cellule, mondi/modi musicali che Bartók esplora in tutta la loro espressività (come: contrappunti, cromatismi, ostinati, ecc...). Chiudono il VI ed ultimo libro "6 danze dal ritmo bulgaro" a coronare un autentico capolavoro che non è solo il ritratto di un superlativo musicista, ma anche di una persona di grande umanità.
La "Sonata per piano" (1926) è un altro dei vertici del Maestro e un apripista per una nuova concezione pianistica. Qui c'è tutto il Bartók maturo: spunti dalla musica popolare, struttura e ritmica semplice ma molto varia, sonorità pianistica percussiva. Questa composizione anticipa, di circa una decina d'anni, un altro dei suoi capolavori più conosciuti la "Sonata per due pianoforti e strumenti a percussione".
Scritto quasi in contemporanea con la "Sonata", un altro magistrale pezzo è "Out of Door" (En plein air) un esplosione ritmica furoreggiante, alternata ad una sorta di minimalismo lirico, ogni vibrazione della corda del piano si compenetra e sembra rivivere nella nota successiva. Il quarto movimento "The Night's Music" nella sua atmosfera sospesa, misteriosa e brullicante è una lezione insuperata di pianismo novecentesco e di una nuova poetica ispirata alla natura, ben lontana dall'enfasi sentimentale di certo romanticismo.
Nelle splendide "8 Improvvisazioni su canti contadini ungheresi (Op.20)" (1920) in realtà non c'è nulla di improvvisato. L'intento (riuscito) di Bartók è di sviluppare un moderno linguaggio pianistico partendo da temi popolari, ma lasciando questi appena abbozzati, schizzi su cui sviluppare concezioni armoniche e sonore nuove.
La bellissima "Suite di danza" del 1925, è una trascrizione per piano dall'opera orchestrale omonima, un painismo dirompente e senza riserve.
Completano il box i seguenti brani:
"6 Danze popolari rumene" (1915), "Sonatina" (1915), "3 melodie popolari ungheresi" (1914), "Canti natalizi rumeni" (1915), "3 Studi" (1919), "3 Rondò su melodie popolari slovacche" (1917-27), "Il primo contatto col pianoforte" (1913), "9 Pezzi brevi per piano" (1926), "Piccola suite" (1936), "15 Canti contadini ungheresi" (1914), "10 Pezzi facili" (1909), "Marcia funebre per Kossuth" (1903, riduzione per piano dal poema sinfonico).
Per chiudere la recensione, e obbligo, non solo menzionare, ma elogiare il superlativo lavoro di immedesimazione svolto da un grandissimo pianista, quale è, Zoltán Kocsis, che riesce in maniera davvero efficace ad arrivare allo spirito e all'essenza musicale di Bartók.
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