Un film da recuperare
Correva l’anno 2003. Folgorato sulla via della maturità dall'anticonformismo di poeti maledetti, dandy e vati, anche nella mia esperienza cinefila, decisi di svoltare dalla superstrada dei colossal e delle mega produzioni, così mi abbonai col fratello maggiore alla rassegna autunnale della sala Namastè, in quel di Cagliari. Guidavo contro traffico, mentre gli spettatori si riversavano dalla città verso il multisala di periferia, io dalla periferia, la domenica sera, mi muovevo verso questa piccola saletta sita in una stradina del centro, quasi del tutto, interdetta al traffico.
Cercavo un luogo al posto del non luogo a pochi metri da casa. Nella speranza di incontrare film che mi parlassero, ho trovato sicuramente dei ricordi indelebili.
Tra questi ricordi, uno era più vago e indefinito, ma si è delineato chiaramente nella mia mente mentre osservavo la neve dell’ultimo film di Kaufman: Kitchen stories del norvegese Bent Hamer.
La neve, le case isolate, i silenzi. È questo il trait d’union tra i due film.
Parlerò del primo film, quello del 2003, che racconta una storia verosimile.
Nel 1944, in Svezia, viene fondato un istituto di ricerca con lo scopo di studiare le abitudini casalinghe delle persone e creare così dei prodotti più funzionali per alleggerire i lavori domestici. L’ultima indagine ha per oggetto le abitudini in cucina degli scapoli norvegesi.
Una truppa di osservatori invade la Norvegia. Per un anno intero vivranno in delle roulotte, tutte perfettamente identiche, nel giardino della casa nella quale lavoreranno. Il loro lavoro consisterà nell’osservare da una sorta di seggiolone da arbitro di tennis i movimenti del padrone di casa e annotarli in un taccuino fornito dall’azienda.
Potranno entrare e uscire a loro piacimento.
Non potranno parlare col padrone di casa.
Non potranno partecipare alle faccende domestiche.
Il film segue la storia di Isaac e Folke. Isaac è il nostro padrone di casa, Folke è l’osservatore dell’ISF.
Isaac è un sabotatore e l’indagine avrà quindi dei risvolti non previsti.
Vedremo l’uomo da una parte, il determinismo positivismo sociocomportamentaldeterministicocapitalista dall’altra e in mezzo le relazioni umani.
Una storia curiosa, non trovate?
Quali altri motivi per guardare il film?
Lo sguardo del regista è leggero, tra ironia e malinconia.
Le riprese, soggettive, dal seggiolone e dal secondo piano, regalano nuove prospettive.
E infine, ma non meno importante, una storia di un istituto che vuol conoscere ogni nostra azione. Non vi suona familiare?
Alexa, Kitchen stories. E buona visione…
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