E venne il 2020, con le sue sciagure epidemiologiche e le celebri dipartite (Paolo Rossi, Maradona e il maestro Morricone, giusto per citarne alcuni). Un anno infausto come pochi, che ricorderemo per sempre tra i più bui della nostra vita (kaiser, che piglio austero che ho imboccato,occorre stemperare un po' l'aria).

Come sosteneva l'indimenticato Cohen, "c’è una crepa in ogni cosa ed è da lì che entra la luce".

In mezzo ai tanti "Andrà tutto bene",alle tante gang di accompagnatori di quadrupedi dalla sorprendente incontinenza, ai "Festival della Canzone Itagliana dal Balcone", ai mille modelli d' autocertificazione, al giallo, all'arancione, al rosso, alle mascherine che sono arrivate a costare tanto quanto una pochètte di Scianell, all'asporto e al divieto allo sport(o), cheto cheto è venuto al mondo,settimino e ottimino, il primo lavoro musicale di Battlegods, al secolo Coscialunga, come qualcuno l'ha battezzato qui sul Deb.

Le ispirazioni rimangono tutt'oggi ignote. Alcuni sostengono che Paz gli sia apparso una notte in sogno, più bianco di Numan e vestito da modern english. Altri le attribuiscono alla sosta forzata in casa, con la conseguente separazione dal suo amato lago. Ebbene si, è il lago, onnipresente in ogni suo commento, l'elemento d'ispirazione del Battlegods. Un punto geografico perlopiù ignoto ai molti, a metà strada tra una sconosciuta abitazione nel viterbese e le segretissime campagne che hanno ospitato i techno rave del Regno Unito. Già, proprio quelli, che per arrivarci dovevi convincere qualcuno che contava nel giro a consegnarti la mappa del luogo. Quelli che si tenevano in posti raggiungibili solo a piedi, dopo aver camminato per un buona mezzora tra impervi sterrati degni della tappa più audace di un Camel Trophy.

Ma alla fine importa solo relativamente. Quel che conta è che siamo arrivati per primi a parlare di tutto ciò, anticipando nei tempi quelli di Ondarokka, che si sono fiondati come rapaci sull'indifeso, introverso artista, cercando di estorcergli (inutilmente) qualche sfiziosa anticipazione.

D'altro canto la mia posizione di recensore e amico dell'artista in questione mi pone in un'ineluttabile condizione di spudorata, sfacciata faziosità, quindi sarò palese sin dall'inizio, sostenendo ad oltranza la mia linea, così da non sembrare ipocrita:

"É dai tempi di Replicas dei Tubeway Army che non si ascoltava niente di simile!"

Il mio giudizio è assolutamente avulso da qualsiasi condizionamento e a nulla è servito l'adescamento per iban e la conseguente cifra congrua da me stabilita, scritta distrattamente per esse-emme-esse. Il lavoro merita un attento ascolto, vi avviso, quindi mettetevi comodi, spegnete gli aipod, i smartifon, gli aifon, i fon e premete on.

Fatto? Bene, parte la prima traccia e cerco di essere più serio (di quanto già lo sia).

Un incipit col reverse (ma senza messaggi subliminali) apre "Hydrogen". Un tappeto sinthetico che per certi versi rimanda ai Korda di "Move Your Body". La traccia è omogenea e cangiante allo stesso tempo e un attimo dopo veniamo proiettati in un territorio elettronico yellow-smiley, a metà tra garage house ed acid house, nel bel mezzo di un dj set degli SL2 all'Astoria di Londra. La compagnìa è buona e nutrita (a EDEN pills!): State 808, Bizarre Inc, LFO (chi ricorda l'omonimo brano strippante del lontano 1990?)ed un paio di dj collassati nelle poltroncine in fondo alla sala."Dub Planet" parte spedita di cassa dritta, agganciata ad una aria vagamente, ma non troppo, deep house che viaggia a velocità di crociera, ma nel bel mezzo il brano si trasfigura: una sconosciuta regia pompa del fumo che satura l'aria tutt' intorno e tra le traiettorie delle luci laser, sparate nel nulla (forse dalla sua famosa amica tastierista), spuntano i fantastici quattro di Düsseldorf in camicia rossa e cravattino nero. No, non fraintendetemi, non c'è il featuring dei Kraftwerk, anche se loro, nel loro piccolo, avrebbero voluto partecipare. L'omonimaI "In Deep" ci consegna un Dave Gahan laziale nuovo di zecca, con l' unica differenza che quest'ultimo preferisce la folta chioma al taglio spazzolato. "Space Tank" è la traccia più cupa dell'intero lotto, uno sformato di elettronica farcito di Schulze, John Foxx ogni cento grammi di Numan, Kraftwerk quanto basta e una spolverata di State 808, il tutto al tempo di cottura del Clock DVA. Una delizia per il palato. E anche per le orecchie. In conclusione un esordio veramente niente male, che lascia ben sperare in un glorioso futuro, ma per contratto devo abbondare, quindi:

Soltanto oggi avete compreso che le mascherine non sono state concepite per proteggere le orecchie e così facendo vi siete persi "In Deep"? Il 2020 ha eletto il suo album dell'anno, ma eravate distratti dai collegamenti a reti unificate di Conte?

C'è rimedio a tutto, accorrete numerosi, ascoltatele tutte, il bello deve ancora venire [pot-pourri di cit.]

Vivamente consigliato dai rivali Tubeway Army! (quest'ultima è un surplus fuori contratto, metti mano alle coordinate Battle)

Epilogo

Ecco, tutto quel che c'era da dire è stato detto. Qui su Debaser, prima di Ondaruokka. Ora mi tocca andare, s'è fatto veramente tardi e poi devo cercare un curato disposto ad ascoltare tutti i miei peccati.

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