Scrivo questa mia prima recensione prendendo in considerazione un gruppo cui, tengo a precisare da subito onde giustificare le mie possibili "sviolinate" , ho avuto l'onore di ascoltare live più volte.
Attualmente la Band propone una discografia ancora scarna (un EP/singolo ed un solo full-lenght) in quanto attiva da poco tempo. Prendo dunque in considerazione il loro primissimo (ma non primitivo dal punto di vista musicale) lavoro, intitolato "Make Things Happen - Single", composto da una tracklist sì breve, ma abbastanza studiata da poter dimostrare a fondo tutte le potenzialità proposte da questo trio Olandese di genere definito "Sixties On Steroids / Psychedelic Organ Rock&Roll".
"Make Things Happen", brano apripista, conferma la precedente descrizione stilistica: 4/4 di batteria semplici ma ben decisi, riff di organetto ( Philicorda, per i tastieristi appassionati - strumento usato per la famosa "Funky Town"-) che imperterrito ed accattivante insiste lungo tutto il corso del brano, la voce che inevitabilmente ricorda i Doors di "Break On Through", una chitarra acida al punto giusto per rendere il sound molto più aggressivo, senza però abbandonare rimembranze puramente 60's. Un brano che, a mio avviso, può piacere al primo ascolto, ma tende a saturarsi nel tempo.
"Code Red" è ciò che più completa l' offerta musicale proposta dai "Doors di Leida" ( affermazione non tanto ricca di modestia, quanto meramente descrittiva).
Lo stile che era stato ben sviluppato nel primo brano, viene ora unito ad un prog-rock che ricorda molto i primi Black Sabbath. Un riff di organo truce, maligno, impertinente e violento. Questo dualismo di generi si rincorre nello sviluppo di tutto il brano che, a mio parere, poteva singolarmente essere presentato in un EP a parte, vista la sua completezza ed efficacia di proposta. Il miglior brano del demo, secondo me.
"Don't Know Where To Run" chiude il disco riconfermando tutto ciò che nei brani precedenti era stato già sentito: riff "blueseggianti", esplosioni acid-rock, voce tagliente ( tant' è che ad un certo punto si fonde con un armonico di chitarra) e batteria che dà l' impressione di essere un metronomo caricato a colpi di cannone.
I Birth Of Joy, dunque, possono essere consigliati sia a chi, per nostalgia, non può fare a meno di quei tipici giretti blues che da molto non si sentivano più proposti in questo stile, sia a chi abbia piacere di notare come, ai giorni nostri, sia possibile proporre in maniera attuale ( la sperimentazione, soprattutto in live, non manca mai) un genere che, se si può dire, è finito nel dimenticatoio dopo gli anni '70.
Il voto di 4 stelle è giustificato dal fatto che, data la scarsa quantità di brani, non è possibile decidere se in un full-lenght la proposta musicale del gruppo possa risultare noiosa oppure siano in grado di gestire una quantità più vasta di canzoni.
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