Zakk Wylde sa suonare la chiatarra, e lo fa come un dio-demonio. Lo strumento simbolo del blues e del rock sotto le sue dita pesta, canta, piange, urla di disperazione, geme ora di piacere ora di dolore.
2021: il nostro vichingo del rock-metal, con i suoi Black Label Society, pubblica il nuovo lavoro Doom Crew Inc., un disco bellissimo e notevole sotto diversi punti di vista, probabilmente uno dei migliori dai tempi di The Blessed Hellride.
Se si parla di musica suonata, di capacità tecnica e stilistica dei musicisti il livello è assoluto: Zakk Wylde è incisivo come sempre, Dario Lorina alla seconda chitarra fa un lavoro superbo, la sezione ritmica rappresentata da John DeServio al basso e da Jeff Fabb alla batteria è eccelsa, tutti i pezzi hanno sempre un tiro grandioso, dai brani più spiccatamente rock-metal (Destroy & Conquer, Ruins tra le altre) alle bellissime ballate, più numerose in proporzione rispetto ai precedenti lavori (Forever and a Day, Love Reign Down, Farewell Ballad in particolare).
Ciò che tuttavia sorprende ancora di più è la maturazione artistica del gruppo, al di là delle indiscutibili capacità musicali; la sintesi tra ispirazioni sabbathiane, suoni di chitarra che a tratti ricordano Jerry Cantrell (Alice in Chains), e linee melodiche alla Soundgarden arriva qui al suo culmine; la musica restituisce all’ascolto tutte le influenze in modo unitario e perfettamente miscelato, in uno stile personale, riconoscibile e diciamolo: strafigo. Il timbro vocale di Wylde è fantastico e perfettamente inserito all’interno dei suoni strumentali e del discorso musicale, basti ascoltare il singolo Set You Free per comprendere questo aspetto così importante. La scelta artistica per questo album è stata quella di favorire linee di canto particolarmente melodiche: al netto del risultato la scelta si può considerare decisamente efficace e se lo scopo era quello di creare un album che suoni più intimo, direi che questo intento è perfettamente riuscito.
Tutto questo si collega al discorso sulla produzione musicale: questo album tra i numerosi lavori del Black Label Society spicca per una grande attenzione ai suoni e al loro mixaggio, che suona bilanciato, con i bassi che spingono al punto giusto, senza mai tuttavia sfociare nella “zarrata”, che purtroppo troppo spesso si trova in molte produzioni metal, anche di livello. Le chitarre, come ci si aspetta, vengono molto fuori, comunque in modo sempre armonico nel contesto del suono generale.
Venendo infine alla composizione dei brani, va riconosciuto un ulteriore passo avanti nel lavoro della band: la struttura dei pezzi non è mai banale, le strofe si alternano ai ritornelli e agli assoli, alternandosi talvolta a sezioni doom in modo sempre creativo; poi si sa: il rock, soprattutto quello americano di questo tipo, ha una struttura per lo più semplice, ma quando si può osservare uno sforzo artistico non fine a se stesso ma che conferisce ulteriore bellezza alla musica, questo va riconosciuto e apprezzato.
Concludendo, l’ascolto di questo album è consigliato a tutti gli amanti della musica suonata, quella che fa vibrare le corde più profonde all’interno del corpo, quelle giù nella pancia. È l’innato blues, non tanto nella struttura quanto nell’intenzione e nel mood, ed è la straordinaria attitudine rock di Zakk Wylde e soci che permettono loro di fare questo: di parlare direttamente al nostro inconscio più intimo, forse più grezzo e atavico, che alberga qualche parte celata in noi, ma che tuttavia ci definisce forse più di ogni altra cosa e ci rende esseri umani, fatti di piacere e rabbia.
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