Il cambio di paradigma arriva a volte come un calcio nei coglioni, a volte piano piano come un'idea che ti nasce in sogno.

Sarà che solo recentemente sono arrivato a quell'età in cui capisco finalmente cosa voleva dire Bob con “I was so much older then I'm younger than that now”, sarà che il tempo passa e uno comincia ad avere la paura di non stare spremendo come si deve quella pesca raggrinzita che chiamiamo vita, sarà che son sempre stato un bambino noioso (no non è vero, lo dico solo come licenza poetica) ma fino a poco tempo fa proprio non capivo come uno che di nome fa Jeffry Lee Pierce e che ha cantato amore e morte dalla palude potesse essere stato il presidente dello US Blondie's Fun Club.

No perché, sarà stato lo strascico della cultura noiosamente e sterilmente impegnata degli anni '70, ma si faceva una grande attenzione a distinguere la così detta musica seria da quella così detta del disimpegno.

Ma tutti i grandi sistemi vengono messi in crisi dalle incognite non facilmente catalogabili e i Blondie sono senz'altro uno di questi casi.

Paladini della New Wave e grandissimi amici di tutto il giro leggendario del CBGB sono stati quelli che hanno riscosso sicuramente più successo nazional popolare di tutti grazie al loro fare sbarazzino, all'essere degli ottimi scrittori di canzoni, dei musicisti più che discreti e all'indimenticabile immagine di Debbie Harry.

Si può perdonare a un ragazzino, in piena scoperta pre-adolescenzale, lo snobismo che accantonava i Blondie nel mucchio del disimpegno a causa della loro immagine patinata e dei loro ritornelli orecchiabili, colpevoli di non apparire lugubri, cervellotici, tristi e facilmente assimilabili e godibili pure dall'amico più ignorante della cumpa?

Sì, si può perdonare perché la ricerca di una propria identità ,come tutti sappiamo, spesso ci porta a rigettare quello che è accettato e imposto dalla massa.

Ma si può continuare a credere che questo snobismo possa ancora continuare a permeare una persona più adulta, la quale si presuppone che abbia compiuto il suo viaggio di formazione e che oramai dolce e beata, al riparo di qualsiasi strale, regni sul suo presente con la sua solida e cazzuta personalità?

Difficilmente.

Come è noto mi trovo nella spiacevole situazione di dovere tornare sui miei passi e riconsiderare qualche mia vetusta opinione su cosa sia serio e cosa sia disimpegno, situazione però che già mi preannuncia (come una sensazione per ora, ma che sarà sempre più pesante da ignorare) come questa stessa distinzione sia una colossale cagata.

Superata perciò questa distinzione cosa può rimanere? Il bersi tutto beato e contento senza più nessuno spirito critico? Il calare i pantaloni alla cultura del disimpegno? Il divenire finalmente gaudente di un presente immaginifico e speciale?

Ma non sarà che il liberarsi di questo peso del dovere schierarsi, l'accettare finalmente la realtà senza la perenne sfida del confronto, il raggiungere una mia propria quadratura del cerchio mi spinga poi lontano dal mondo dell'arte e della musica stessa, verso le calde braccia della vita che non ha bisogno di surrogati per essere capita e interiorizzata?

Beh questo non lo so e sinceramente poco mi frega ma spero proprio che questa nuova maturità abbia le fattezze di Debbie, la sua imperfetta bellezza, il suo modo strampalato di cantare in playback, i suoi capelli biondi solo sul davanti, i suoi vestitini rosa shock e il grande divertimento che regala vederla esibirsi.

A proposito del disco: appena prima del clamore, appena prima dell'affermazione, appena prima del cambiamento e della maturità (chiamiamola così dai) artistica. A mio modo di vedere il modo migliore per conoscere e godere questa fantastica band.

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