Nuova uscita per Bluetech che debutta su Interchill con un disco dubbosissimo e psichedelico, un lavoro che a differenza dei (molti) altri progetti di Evan aggiunge al genere da lui coniato come digidub una serie di novità, come influenze funk e reggae, fiati suonati live, chitarre wah. Si tratta di un album equamente diviso tra una faccia esotica stile dub giamaicano, ed un altra, decisamente più allettante, spettrale e di grande atmosfera, con voci angeliche e muri di riverberi inogniddove che ricordano -in parte- quanto fatto da Burial nel suo oramai leggendario Untrue. 

"Love Songs To The Source" oltre ad arraggiamenti molto curati e l'eccellente produzione (non poteva essere altrimenti dinanzi ad un artista che si è sempre contraddistinto per la qualità e la pulizia dei suoi lavori) mette in vetrina ottime collaborazioni al microfono, donando cosi una buona varietà utile a spezzare la tipica povertà stilistica di un genere (dub) aggrappato troppo spesso ai soliti clichè quali echi, riff in levare, rullantoni; tutto ampiamente presente, anche se parlando di "digidub" non è raro trovare soluzioni alternative e buone intuizioni ad arricchire il lento incedere di ritmi fumosi che forgiano le dodici tracce. 

Ad esempio gli spunti ambient della gelida "Green Sophia" (con la guest Tina Malia che fa un po il verso a Lisa Gerrard), e "Polychrome Petroglyph" (in collaborazione con Kilowatts), quelli psichedelici di "Seed To Soil" (gran beat), o il misticismo di "Waiting For Initiation" (interessanti i groove funk) e "Hanuman", forte dell'egregio lavoro alle trombe di Luke Solman e Russell Scott, presenze che torneranno più volte lungo le 14 tracce. Tra le voci la sorpresa è senz'altro Katrina Blackstone, che souleggia su "Change" e "Lay Your Sorrows Down", due tracce solari e dai toni più easy, ma propizie a rendere il disco meno monoforme. Gli esempi più efficaci ad inquadrare l'Evan-digidub-pensiero sono rappresentati da "Dread Inna Babylon" e "Counting Out Stones", classici dub raggati ma con suoni 100 % electro. Nota di rilievo per il magnifico rmx ipnotico ed avvolgente di Big Medicine (Mari Boine Persen) e la delicata downtempo "To Mend". Decisamente meno convincenti le strumentali "Two River" e "Three Worlds" (abbastanza scolastiche nonostante i curiosi spunti orientali).

Se vi piace il dub, e i riverberi interminabili da headphone-trip da prendere in considerazione. [3.5]

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