A poco più di un anno dallo scioglimento degli Husker Du, Bob Mould esordisce con "Workbook", un lavoro, si evince già dal titolo, più personale, se non intimo perlomeno domestico.
L'iniziale "Sunspots" ha un bel giro di note, ma non riesce a trasmettere all'ascoltatore la sensazione che il disco sia veramente iniziato. Un brano in alcuni tratti che ricalca lo stile di Steve Howe degli Yes nei suoi instrumentals. Il pezzo va inteso, per così dire, quale sigla d'apertura. Con "Wishing Well" si ha quindi il primo vero approccio al disco ed al Bob Mould tenuto dentro al closet per esigenze di primato della sua punk band: violoncello al posto di qualsivoglia tastiera, acustiche ed una buona batteria; un'ottima melodia e chitarre elettriche che salgono solo dopo quattro minuti (ne mancano quasi sei alla fine). "Heartbreak A Stranger" ha un riff che somiglia al giro di note del primo brano. Una canzone educata, con un solo paio di accelerazioni (solo chitarristiche e non violente) e buone armonie vocali, ma troppo lunga (ancora nove minuti). "See A Little Light" è la dimostrazione di come Bob sia capace di fare pop non banale. Il ritornello somiglia molto a quella vecchia "Love Is All Around" ripescata nei novanta per la commediola "Quattro Matrimoni E Un Funerale".
"Poison Years"... Oddio, non sparatemi se lo dico, ma ha un sound (anche un cantato, a tratti) che sembra "Night Boat" dei Duran Duran. Certo, i Duran del primo disco, i Duran rock, i Duran new wave, ma sempre i Duran! Che effetto strano che fa... Il pezzo viaggia bene e suona altrettanto gradevole, ma supera addirittura i dieci minuti! Poveraccio l'ascoltatore (cioè io, abituato coi Cars): intro a parte, delle prime quattro canzoni, la più breve è stata di sei minuti e mezzo! La vita facile non sembra voler arrivare, dato che la seguente "Sinners And Their Repentaces" altro non è che sette minuti di acustica, violoncello e voce. Niente easy listening? Ok, mi sta più che bene la qualità melodica e la profondità/serietà d'intenti. Ma un pezzo che sia uno, di three/four minutes al massimo? No, eh?
"Brasilia Crossed With Trenton", dal titolo già si capisce, non viene meno alla regola, anzi. Chitarre acustiche dall'incedere deciso, questo cantato che non vede l'ora di esplodere nell'ultima sillaba di ogni verso... Provate a sostituire la voce di Bob con quella di Micheal Stipe in "Out Of Time"... Undici minuti da ballare come matti e da saltare come scimmie ubriache, col sole negli occhi. Fosse stata dei R.E.M. sarebbe divenuta capolavoro indiscusso. Dopo questa bolgia sarebbe doverso riposare un po'. Su un organo molto "Out Of Time" (ma molto folk rock in generale), parte "Compositions For The Young and Old", finalmente più easy, un pochino college e un pochetto spiaggia californiana, sempre però superiore agli otto minuti. Pur non essendo il massimo, è un ulteriore esempio di qual sia la facilità compositiva di Mould.
Il brano veramente pop arriva in "Lonely Afternoon". Il pezzo ha ancora un nonsoché (lo so bene, invece: basti soffermarsi soprattutto sui controcanti delle strofe, e sul finale) di "Duran Duran chitarristici" e prima maniera, di "troppo anni '80" (siamo nel 1988), di voglioso - per reazione ai pezzi precedenti - di essere "finalmente mainstream", arrangiamento semiacustico a parte. "Dreaming Am I" parte arpeggiata ed abbastanza trasognata, per quindi volgere in una suggestiva sgroppata basso-batteria. Chitarre elettriche in solo e rifiniture varie in stile Cure, meno echeggianti ma piatte ed acute allo stesso modo, che mai s'arrabbiano. Con la finale "Whichever Way The Wind Blows" le electric guitars si riprendono ciò che fu loro. Gli Husker Du tornano in questo brano sporco, industrial, dal muro sonoro fatto di mattoni rossi di fabbrica del 1860. I fans dei "do you remember" esulteranno: il cielo è di nuovo plumbeo causa agenti inquinanti, la location è nuovamente la depositeria di un soccorso stradale convenzionato per la rottamazione. Chitarre delineate di un Hendrix operaio alla General Motors; vuoti in cui Bob si autodistrugge. Un ritorno finale al campestre, quasi per scusarsi con chi aveva già provveduto a catalogare "Workbook" quale un disco di folk rock, il finale tintinnare di campanacci appesi al collo di un armento.
Un lavoro complesso, ardito e ardimentoso, in cui Bob non si cimenta, ma si butta letteralmente a capofitto, com'è suo solito, pregio e difetto al contempo. Una valanga di pezzi - non tutti ispiratissimi - e di sonorità troppo diversi da ciò che una volta fu, cancellano letteralmente il nome del Nostro dall'elenco dei top-punksters americani, per quindi ricollocarlo in cima alla lista intitolata "cantautorato rock e libero", al fianco di altri colleghi, Lou Barlow e Paul Westenberg in testa. Libero di accelerare e decelerare quando vuole, di guardare al futuro e di rivolgersi al passato. Di tradire le aspettative e di sorprendere.
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