Nel 2019, poco prima della pandemia di Coronavirus, è apparso su YouTube un video che ha attirato l’attenzione di qualche non più giovanissimo utente. Stiamo parlando di “Freestyler 2019”, edizione riveduta e corretta del videoclip che, circa un ventennio fa, ha contribuito al successo dell’omonimo brano dei Bomfunk MC’s.
Nelle immagini incontriamo una teen-ager dai dread biondi che, armata di smartphone e cuffie wireless (il ragazzino del ‘99 aveva un rudimentale lettore MP3), riesce a controllare il mondo e chi le sta intorno, così da far compiere ai passanti ogni tipo di bizzarria (passi di breakdance e via dicendo). Ogni cosa, però, è destinata a finire e quando la nostra amica non riesce più a comandare oggetti e persone, rivive il suo “viaggio” al contrario e si ritrova seduta da sola, in attesa della metropolitana. Capiamo dunque che è stato un sogno.
Al di là dell’operazione filologica (tutto sommato riuscita), il video ci permette di fare un passo indietro e tornare a quella parentesi conclusiva degli anni Novanta, quando il boom della musica elettronica e delle nuove tecnologie ci stava proiettando non senza inquietudini nel Terzo Millennio. In quel contesto usciva “Freestyler”, singolo in cui la sintesi tra drum and bass e attitudine hip-hop recuperava una genuinità old school che, da tempo, sembrava essere perduta. Autori del pezzo erano i Bomfunk MC’s, gruppo formato, tra gli altri, dal rapper londinese B.O.W e dal DJ e producer JS16, proveniente da Turku, città del sud della Finlandia.
“Freestyler” ha avuto un gran successo e ha scalato le chart di mezzo mondo, raggiungendo la prima posizione anche in Italia. Ci si aspettava quindi il disco della consacrazione definitiva dei Bomfunk MC’s, cosa che, ahinoi, non è accaduta. Cerchiamo di capire perché.
Torniamo al 1999. A pochi mesi di distanza da “Freestyler”, la band nordeuropea pubblica In Stereo, album d’esordio contenente dodici tracce e due remix, per un totale di cinquantasette minuti di musica. In Stereo, almeno negli intenti, ripropone la stessa ricetta del singolo, vale a dire un mix di hip-hop, elettronica di fine anni Novanta e atteggiamenti stradaioli (qualcuno direbbe “underground”). Peccato che i risultati siano a dir poco deludenti, anzi, a tratti disastrosi.
È senza dubbio difficile elencare i difetti del debutto dei Bomfunk MC’s: proviamoci. Ad attirare l’attenzione ci pensa subito il non eccellente sound e quindi buona parte delle responsabilità vanno addossate al producer JS16. Quest’ultimo, invece di tuffarsi nella drum and bass o nel breakbeat, ci propone un mix di techno-trance tamarra, hip-hop dalle batterie martellanti e incursioni nell’electro anni Ottanta, il tutto condito (si fa per dire) dai discutibili scratch di DJ Gizmo e da suoni spesso troppo editati o filtrati, così da risultare fastidiosamente “puliti” (provate ad ascoltare le tracce in cuffia ad alto volume e mi darete ragione).
Veniamo alle liriche, un parolone date le capacità al microfono di Raymond Ebanks, in arte B.O.W.. “Uprockin' floordroppin', spinnin' and glidin'/Windmill combinding, 1999('in)/And on top of it all, the boldest freeze/Now come on party people let me hear you scream!”: ecco, questi versi ripetuti per quattro minuti in “Uprocking Beats” sintetizzano il tenore delle rime del buon Raymond. Che insomma, nel 1980 a un party della Zulu Nation potevano andare bene, ma vent’anni dopo risultano un tantino ripetive e trasmettono, se non una sensazione di vuoto cosmico, quantomeno una mancanza cronica di argomenti.
In Stereo sprofonda ben presto negli abissi dell’indecenza, in una zona tristemente vicina al pernacchio di eduardiana memoria. Merita una menzione speciale la brutta “Rock, Rocking Tha Spot”, con i suoi orrendi chitarroni alla “Walk This Way” e, in aggiunta, un sample vocale femminile che sussurra: “Fuck me”. Non è da meno la title-track, guazzabuglio di casse dritte, urla e rime degne di un vocalist di una discoteca della Riviera. Pollice verso anche per il singolo “B-Boys & Fly Girls”, imbarazzante miscuglio di chitarre elettriche, scratch e sonorità ultrazarre da club di periferia. E infine, dopo aver steso un velo (im)pietoso sul remix di “Uprocking Beats”, giungiamo a “Spoken Word”, inspiegabile outro dalle velleità moraleggianti, francamente evitabile dopo un disco tutt’altro che profondo dal punto di vista dei testi.
A questo punto, la domanda sorge spontanea: nel calderone di In Stereo c’è qualcosa di buono? Probabilmente sì. Oltre alla già citata “Freestyler”, possiamo salvare “Other Emcee’s” e “Sky’s the Limit (Radio Edit)”, due brani che si muovono in territori electro abbastanza gradevoli, “1, 2, 3, 4”, ennesimo tributo all’old school rap forte di una produzione ben confezionata, e, last but not least, “B-Boys & Fly Girls (DJ Gizmo Funky Remix)”, sorta di versione strumentale che, grazie a Dio, si allontana dal sound pacchiano dell’originale.
Stop. In Stereo finisce qui e, con esso, termina il successo internazionale dei Bomfunk MC’s. La band pubblicherà altri due album, praticamente ignorati al di fuori della Scandinavia, per poi sciogliersi dopo l’uscita di Reverse Psychology, ultimo capitolo di una carriera non proprio brillante.
Al di là dei capitomboli della loro vicenda artistica, i Bomfunk MC's, con "Freestyler", ci hanno fatto credere che l’hip-hop mainstream potesse prendere una strada diversa, in un periodo in cui bottiglie di champagne e macchinoni sembravano aver offuscato quell’essenza che JS16 e soci volevano far rivivere nel loro esordio. Con esiti purtroppo discutibili.
Voto del DeRecensore: 2,5
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