Mi sono perso. 

A volte, per 5 minuti, trovo la verità in segnali di fumo senza senso, in quello che può essere un urlo straziante muto, sotto oceani di fredda acqua qualsiasi.

Io non scrivo. 

Potrebbe essere l'inizio magari. 

Potrei parlarvi del disco, ma lo farei forse peggio forse meglio di qualcun altro, quello che proverò a mio malgrado di fare è di collegare logicamente vocaboli adatti a descrivere la mia esperienza con questo disco.

I Breach, fermati un attimo a pensare, la bellezza può essere una sensazione, un'emozione, un dolore lancinante che ti fa chiudere gli occhi e vacillare ogni giorno periodicamente per un lasso di tempo abbastanza breve da farti pensare che passerà, passerà anche questo come ne passano tante di cose nelle nostre vite.

La Confusione, benedetta sorella confusione. Ti amo, ti odio, la passione che trasuda, gocciola, gronda, dall'espressionismo post-hardcore, che quasi per caso ti salva, come una dimenticanza in un giorno importante, nascosta ma non troppo, tesa come una trappola ma non troppo.

Squassante, sporco, a tratti disperato, si magari non sono le più giuste, ma le prime che vengono in mente ascoltandolo, perché Dio sono Io, già, Io e soltanto Io, fosse qualcun altro Dio, Io non sarei qui, e probabilmente non sarei.

Apri gli occhi, aprili, e non chiuderli, la luce è troppo forte, ma qualcosa rimane, ricordi confusi, frammenti di foto ubriache, sbiadite immagini di tutto quello che è andato, forse sono Io Dio, forse, o gli sono particolarmente vicino, adesso, che non so cosa sono, dove sono, perché sono.

Il disco sul quale avrei voluto suonare, sì suonare, come quando ascoltandolo nella mia stanza chiudevo gli occhi e sognavo di essere lì, a grattar via note da tasti che friggono, vomitare poesia in un microfono puzzolente, perdersi tra complici sguardi e vergognosi sorrisi malcelati.

Essere.

Sempre.

 

Grazie Breach.

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