La new wave degli ottanta. Mai nessun genere è stato così promiscuo, consolidandosi e amalgamandosi nelle
mutuabili esperienze delle nascenti band che affinavano il loro sound sotto la nuova bandiera. D'altronde,
se l'etichetta è nata con il solo scopo di catalogare tutte le produzioni che vedevano la luce in quel determinato
periodo, non occorrono altre parole per giustificare questo potpourri di suoni. Eppure, nonostante le mille anime,
le molteplici influenze, background musicali agli antipodi (Talking Heads e Cure, un esempio tra tutti), una
invisibile, sottile linea comune ha allineato tutte le entità nel genere. Soggetti apparentemente estrenei,
fisionomie differenti, ma biosintesi genetiche figlie dello stesso DNA. Un percorso tra flussi e riflussi di un
movimento che si è reinventato e nutrito di nuova linfa a cadenze regolari, anch'oggi con i nostalgici revival,
sempre e comunque fedele al verbo del passato.
I Breathless sono a pieno titolo tra le mille anime della new wave. Lontani dal rock più convenzionale, hanno
mosso i primi passi verso lande oscure come la maggior parte delle band del suddetto periodo, ma a modo
loro, con una originalità ed una freschezza di suoni che nel tempo sono diventati le scritture della loro carta
d'identità. Sconfinando, in alcuni capitoli, in una sorta di neo-psichedelia esente dai virtuosismi canonici del
genere, "The Glass Bead Game" (Tenor Vossa, 1986) è un abbraccio mortale, una misteriosa, inconsistente
materia che inghiottisce e trascina l'ascoltatore, brano dopo brano, negli impenetrabili recessi della psiche.
Un caleidoscopio di suoni e sfumature sposati alla corrente monocromatica più oltranzista dell'epoca,
Waters che si fa riarrangiare "Set The Controls For The Heart Of The Sun" da produttori e fonici della
Beggars Banquet o 4AD, la colonna sonora ideale per una cena fra i Can più sperimentali e Ian Curtis con
la luna giusta.
Questo cortocircuito ha partorito viaggi psichedelici al termine della notte materica ("Across The Water"),
struggenti ballate intrecciate in un arabesco di lancinanti chitarre ("All My Eye & Betty Martin"), ossessive
litanie ("Monkey Talk"), danze tribali catturate nei bagliori dei fuochi che macchiano il buio di timide luci
dissolventi ("Every Road Leads Home"), l'ipnotico funk di "Sense of Purpose" (quanta influenza sulle
Warpaint traspare da questa traccia) e, per ultimo, la mistica "Stone Harvest".
I Breathless nel loro album d'esordio hanno voluto dare una nuova, personalissima e originale interpretazione
della new wave, una sintassi alternativa arricchita dalla componente psichedelica ma priva di pleonastiche
didascalie, concreti e pragmatici, figli di un sound simile a mille altri e a nessuno.
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