Il prima e il dopo, e la sua specialissima scienza.

Si, perché ho sempre pensato che la corretta traduzione del titolo di questo album non sia “Prima e dopo la Scienza” (come ho letto da svariate parti), bensì, “La scienza del Prima e Dopo”..

Forse mi sbaglio, ma mi piace pensare di essere nella ragione.

Sarà che lo ho scoperto, questo album, grazie a “La stanza del figlio”, e più o meno sappiamo tutti il film di Moretti di cosa parla, di che prima e dopo parla..

Per me la scienza del Prima e Dopo è come la patafisica, una scienza inventata ma perfettamente esistente.

Del resto accenni di scienza del Prima e Dopo, come spiegata e raccontata in musica, li avevo già incontrati in alcuni brani che avevo conosciuto da ragazzino, che mi avevano colpito non poco.

Uno su tutti?

“Yesterday”, dei Beatles (“Yesterday, all my troubles seemed so far away..”).

In verità sono tantissimi i brani che la raccontano e la spiegano, ma mai nessuno, che io sappia, prima di Brian Eno, le aveva mai dedicato un intero album, dandogli un titolo così esplicito.

Qual è allora, venendo al dunque, il cuore fondante della scienza del Prima e Dopo, quello che ha dato origine alla scienza, l’evento che la ha creata (e che la ricrea di continuo)?

Uno solo. La fine dell’infanzia, che coincide chiaramente con la chiara e definitiva scoperta della morte, ed in particolare della nostra morte, della chiara consapevolezza di non essere immortali.

Tutti gli altri prima e dopo non sono altro che delle pallide imitazioni di questo “prima e dopo”, di cui evocano, spesso senza saperlo, il lontano ricordo.

Ed ora torno a Brian Eno.

Mi piace pensare che il musicista, produttore (e tanto altro) inglese, in onore al suo titolo, abbia consapevolmente separato il suo album in due parti.

La prima parte con brani come “Backwater”, lo stesso “Kurt’s Rejoinder”, con ritmi netti e quasi marziali, sicuri, decisi, spensierati (ma forse già i testi non lo sono tanto..).

E poi “King’s Lead Heat”, che forse sarà pure un semplice anagramma di Talking Heads, ma che ha un ritornello che a me evoca, quando la ascolto, un gruppo di bambini che camminano con passo tonante attraverso i boschi suonando tamburi di latta (come si faceva quando ero piccolo..), in missione per spaccare il mondo.

E poi la seconda parte, giusto dopo la pausa di “Here he comes” che prepara splendidamente l’atmosfera, completamente diversa, con l’ambient inquietante e notturno di “Julie with..”, la celeberrima (grazie a Moretti, almeno per quanto mi riguarda), minimalista e raggelante “By this river”, e lo splendido ultra-malinconico strumentale al sapore di Ravel e Satie “Through Hollow Lands”.

Di questa seconda parte, di cosa parli, beh, ho già detto abbastanza prima.

Cosa sarà successo a Brian Eno fra la composizione della prima e della seconda parte dell’album?

Forse un indizio è in quel brano nel mezzo, che parla di un "ragazzo che ha cercato di svanire un'altra volta, che non è più qui con i suoi tristi occhi blu"?

Forse nulla, il tutto è solo il risultato di una scelta artistica.

Una cosa la so però per certa.

I miei amati Flaming Lips, ed in particolare il suo leader Wayne Coyne, un po’ di anni fa composero e dedicarono il loro “Yoshimi battles the Pink Robot” ad una loro amica, una collega, componente di una band, se non ricordo male, giapponese, venuta a mancare tragicamente durante il periodo di composizione dell’album.

E non sarà penso un caso che, ad ascoltarlo con attenzione, un bel po’ dei suoni de “La scienza del Prima e Dopo”, della sua spensierata sicurezza e della sua malinconia che questa scienza così splendidamente racconta, si senta anche nell’album dei meravigliosi malinconici pagliacci dell’Oklahoma.

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