Un collezionista alieno, o antropologo interstellare, che contempla divertito tutto quel che ha raccattato in anni di scorribande dai robivecchi del pianeta terra e che per gioco costruisce delle canzoni mescolando alla rinfusa quell'esotico bric a brac personale.
E' tutto strano, stravagante...ma fila via liscio...scorre...che in fondo, anche se aliena, è musica pop.
Sono anni che ascolto questo disco e non son mai riuscito a definirlo, nè a dire in poche parole la sensazione che mi provoca ogni volta, ovvero un misto di piacere, stupore e leggera vertigine, come se le coordinate spazio/tempo fossero uno zero virgola uno diverse dal solito.
Poi certo si può essere più precisi e tecnici e parlare di tradizioni musicali diverse che interagiscono tra loro senza quasi darlo a vedere, dell'amore molto scuola d'arte per i puzzle e le combinazioni surreali, del recupero di cose infantili e filastroccose, dello studio di registrazione che diventa un laboratorio alchemico, eccetera, eccetera, eccetera...
Si può dir quel che si vuole, ma l'essenziale è altrove, e cioè in quella sensazione che ho tentato di definire e nel fatto che questa musica sembra davvero venire da un altro pianeta, che quasi quasi riesci a vederli quegli androidi svaporati e felici che fischiettano per strada queste canzoncine.
Perché se è vero come è vero che qui con discreto anticipo si inventa un suono saltellante, schizzato e un po' nevrotico, ovvero mezza new wave, altrettanto inequivocabile è che questo è un disco molto, molto divertente.
E fischietto anch'io se volete saperlo (in qualità ovviamente solo di svaporato, non di androide)..
Io lo uso come antidepressivo. E funziona. Ma non è sempre andata così.Che nei gloriosi tempi che furono, alle mie orecchie bimbe, questo disco sembrava una favolosa presa per il culo.
Cos'era, per esempio, la traccia due? Una quadriglia per vecchie zie, sperdute in un ricevimento e con in mano tintinnanti cristalli di Boemia colmi di un delizioso rosolio corretto all'acido?
E la sette? Una ninna nanna per annoiati pargoli di un pianeta mezzo barocco mezzo futurista?
E la canzone del terzo zio? Il nuovo rock'n'roll venuto chissà da dove? Una parodia?
E cos'era quel suono a onde, nevrotico a grattugiato, che sberciava certe canzoni, il frutto degli esperimenti del piccolo chimico? E chi era a conoscenza della strategia per catturare la tigre, forse la grassa signora di Limbourg?
E che dire di quella voce narrante così monotona? E soprattutto a chi apparteneva? A un dandy annoiato, a uno che passava di li per caso, a un cicisbeo o sempre a quel piccolo chimico costretto a riferire i dati del suo stravagante laboratorio musicale a un pubblico poco interessato?
Io povero piccolo (non chimico) ero sconcertato, anche se la grassa signora di Limbourg e la canzone del terzo zio già un po' mi si confacevano visto che, nonostante i suoni inquietanti e inauditi, altro non erano, in fondo, che una ballata d'effetto e un classicone rock.
E gli esplosivi anche se un po' caricaturali riff chitarristici di “Third uncle” già li affiancavo a quelli super potenti dell'”Astronomy domine” barrettiana e dell'uomo schizoide del professor Fripp. Intendiamoci, son cose che non c'entrano niente l'una con l'altra, se non per il fatto che ti fanno saltare dalla sedia.
C'era poi un'altra cosa...
In “The great pretender”, ultimo brano del lato A, al minuto 2 e 19, in mezzo a dei suoni percussivi folli e indecifrabili e in mezzo a dio sa cos'altro, fanno la loro apparizione delle cicale meccaniche o, se preferite, qualcosa che assomiglia a delle cicale meccaniche... e non se ne vanno mica subito, oh no!!!...e, anzi, in una specie di crescendo, si prendono sempre più la scena, per poi farsi gli ultimi trenta/quaranta secondi in perfetta solitudine. Ora fosse solo questo...
E' che, non so per quale marchingegno, quel suono non finiva mai, si incantava sull'ultimo frinire e volendo potevi ascoltarlo per delle ore. Che la testina del giradischi che solitamente si alzava da sola se ne rimaneva invece ben ferma.
Altro che musica della macchina di metallo, musica delle cicale di metallo!!!
Ora non vorrei sbagliarmi, ma le cicale credo che comparissero anche alla fine dell'ultimo brano del lato B (dico credo, perché nell'edizione in cd, alla fine del lato b non ci sono più). E il giochino si ripeteva uguale. Sia chiaro non era il mio giradischi ad essere completamente impazzito. E non credo fosse un difetto del disco e, se per caso lo era, non importa, a volte l'avanguardia arriva per caso
Però insomma, a parte le cicale, le grasse signore e gli zii, il resto mi sembrava strano e noioso. Soprattutto noioso.
Beh, ero piccolo e mi sbagliavo. Era solo un disco troppo avanti. Talmente tanto che ancora oggi lo puoi ascoltare a sfinimento e scoprire ogni volta una cosa diversa.
E certo non potevo sapere che si potesse fare musica con un frullatore e un mazzo di carte d'istruzioni. E, frulla/frulla, è venuto fuori quel suono che prima non c'era.
Ma poi , l'ho già detto,quel suono è solo una parte... c'è anche lo sbuzzo del genio...lo sbuzzo di chi cammina tra rocce e dirupi, un giorno con la scarpa in un piede, un giorno con la scarpa nell'altro...
C'è che quella voce anonima e un po' affettata è in realtà sorniona, ironica, surreale...
C'è che il mood del disco è solo la superficie, una sgargiante mano di vernice, ma che in ogni pezzo ribolle una tale quantità di cose da rimaner straniti e abbacinati...
C'è che dopo un rock robotico, parte una ninna nanna rococò e dopo un grattugiamento di chitarra e un synth che manda tutto all'aria...
Una sola cosa non c'è...
Se non nell'ultimo brano, che è una specie di riposo, dopo l'esser andati in giostra...
Non c'è il sentimento, ma il sentimento in quei primi settanta, salvo rari casi, era solo retorica rock...
E comunque non ci può essere sentimento in un frullatore...
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