Il malcapitato Rami Malek ce l'ha messa tutta, non è colpa sua. Colpa di chi crede che fare un film su una rock band significhi eseguire un'imitazione, con attori sosia e ricostruzioni certosine di abiti, gesti sul palco, baffi e tagli di capelli. Non è un film questo, è un videoclip celebrativo allungato fino a due ore con noiosi connettivi dialogati tra una canzone e l'altra.

L'attore di Mr. Robot purtroppo non ha il carisma di un'unghia del vero Freddie Mercury. Poverino, gli manca proprio il fisico, la presenza scenica, anche solo per imitare l'istrionico cantante. Se ci si pensa, non ha grande senso prendere un tipo che faceva (benissimo) l'hacker sociopatico per fare la parte di un mostro di vitalità e sensualità come Mercury. Se a questo aggiungiamo che i personaggi di contorno non sono propriamente briosi, capiamo bene il paradosso di un film che intristisce più che trasmettere adrenalina. Intristisce non per una lettura esistenziale, ma proprio per la mancanza di estro.

A questo aggiungiamo le scelte, quasi tutte sbagliate, di sceneggiatura. Tanti spunti, nessuno ben sviluppato. Sembra un bigino sulle banalità del mondo delle rockstar, un po' come A Star is Born di Bradley Cooper ma senza la grinta e il trasporto di quei due protagonisti. I rapporti difficili col padre, i contrasti con i produttori, l'egocentrismo del cantante, la sua vita sessuale sfrenata, le serpi che lo circondano. Tante questioni, tutte prevedibili e poco accattivanti, che ammassate così non vengono nemmeno ben sviluppate (perché molti minuti se ne vanno in canzoni).

Non bastasse questo, il film subisce una pesantissima censura che porta sostanzialmente a parlare della vita dissoluta di Freddie senza mai mostrarla davvero. Un moralismo assurdo che si spiega bene leggendo le dichiarazioni di Sacha Baron Cohen, che da protagonista voleva andare nei dettagli della vita del cantante, ma il produttore Brian May non era d'accordo. E allora si capisce la finalità encomiastica di tutta l'operazione. Un lavoro politicamente corretto che vuole sostenere semplicemente che il merito non era tutto di Freddie. E che alla fine se ne era accorto pure lui. Un gioco di pesi e contrappesi un po' peloso, che non interessa a nessuno, a parte Brian May e compari.

Si spiega con l'intervento diretto della band anche l'assurda scelta di chiudere in trionfo con il Live Aid del 1985 e tagliare fuori la parte più difficile della vita di Fred, che l'ha portato alla morte per Aids. Insomma, gli aspetti pruriginosi, scandalosi e tragici della vicenda Queen vengono quasi completamente espunti, trattati con una pudicizia che sembra imitare quella di quei tempi.

Un film che è brutto proprio dalle basi. Le inquadrature, la messa in scena, le atmosfere. Non c'è proprio pathos, non si riesce a creare una vibrazione anche solo lontanamente rock. La sequenza del Live Aid potrebbe essere presa a modello su come non si rappresenta un concerto in un film. Fortissime sensazioni di green screen, qualche comparsa in inquadrature strette sul pubblico che non trasmettono la sensazione della folla. Ma sempre meglio delle scene in studio di registrazione (quelle per A Night at the Opera sono simpatiche, le altre...), o quelle coi produttori-serpi, i sentimentalismi smielati con Mary. Tante smancerie poco giustificate, buoniste, forzatamente tendenti al lieto fine che evidentemente non c'è mai stato.

4/10

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