È tornato? Per molti si, assolutamente, per molti Burzum è tornato. Cosa dire di questo “ritorno”? Per molti sarà certamente così e da un certo punto di vista è vero, per quel che riguarda me invece Vikernes è tornato ma Burzum no, Burzum non se ne è mai andato, ergo non ritorna ciò che non può morire, non può andarsene lo Spirito ancestrale che anima un’entità e la possiede, le dà forma e moto, no, Burzum non ritorna perché è sempre stato qui, è “sempre stato”, il buio tolkieniano c’era, c’è e ci sarà. Punto.
Amo iniziare col romanticismo adolescenziale quando si parla di questo leggendario e famigerato progetto senza tempo, non posso farne a meno e potrei dire che quasi mi spiace essere messo nell’eventuale calderone di quello che Varg è a livello strettamente personale, perché davvero a me frega poco delle sue teorie sull’ibridazione degli occhi verdi rispetto a quelli azzurri o del fatto che, a suo avviso, un’enorme guerra razziale sta distruggendo i “nativi europei” e tutto è inevitabilmente manovrato dai Savi di Sion… Si, quasi mi spiace perché non ho mai ascoltato un suo brano pensando a quale tonalità di biondo debbano avere i capelli per essere considerati “puri””, ma alla fine non me ne può fregar di meno, mi mettessero dove vogliono, chi ama inquadrare sconosciuti in categorie, soprattutto tramite una tastiera ed uno schermo, non può che generare in me un sentimento di tenerezza e di umana compassione.
Son consapevole del fatto che possa piacere o meno, che possa “arrivare” o no, ci sta, ci mancherebbe, però non si può negare che la gran parte delle accuse e degli insulti rivolti a Vikernes si dividono in due grosse categorie: il 50% di questi lo detesta per ciò che lui è nel privato e per il suo modo di pensare, quindi non come musicista, ed il restante 50% lo insulta perché “incapace e sopravvalutato”; parte di un folto pubblico lo denigra perché, a loro dire, è celebre “solo per le cazzate ed i crimini commessi in gioventù”. Personalmente ritengo che, mentre gli altri parlano soltanto, lui i dischi li ha fatti e li continua a fare e molti dei suoi odiatori non saprebbero produrre mezza nota di “Filosofem” nemmeno in 10 vite e su questo non ci piove: “acta non verba”, si diceva un tempo e a buon intenditor… Abbiamo capito comunque, va bene tutto, non comprendo però perché questi blasonati musicofili si ostinino a perdere il loro tempo prezioso sotto ad articoli e recensioni di uno che considerano un miserabile pseudo musicista, mah… Non voglio pensare che possano vomitare insulti senza aver ascoltato mezza nota dei nuovi lavori (sui vecchi andiamo sulla fiducia), sarebbe ridicolo, giusto? Quindi non comprendo nemmeno perché si ostinino a spendere il loro tempo ascoltando per l’ennesima volta l’odiato Varg Vikernes all’opera, che stavolta, per altro, delizia noi devoti con un’ora e mezza di pura bellezza.
Questo è il punto signori, “Thulêan Mysteries” è pura bellezza in musica; tutto questo sempre secondo me, ovviamente, anche se sembra scontato è bene precisarlo.
Come ormai è stato detto e ridetto, questo materiale viene concepito negli ultimi anni e pensato, soprattutto, come colonna sonora del suo gioco di ruolo MYFAROG, anche se a me viene in mente principalmente la colonna sonora del suo defunto canale YouTube, il folle “Thulêan Perspective”, che dà il titolo anche al quarto brano di questo doppio album e che è uno dei migliori “viaggi”, tipici del nuovo corso di Burzum, che si possano trovare nel disco. Si parte con “The Sacred Well” e lo scenario è quello sognante, ma anche carico di timore ed angoscia, per quello che troveremo incamminandoci in una delle sempiterne foreste che da sempre fanno da sfondo a questo genere e trovo sia uno dei migliori brani introduttivi mai sentiti su un suo lavoro ambient. Personalmente ritrovo qui lo stesso impianto di ogni suo album, anche se negli anni il Black Metal ha ceduto il passo alla sfera emozionale ed onirica, l’intento del nostro è sempre il medesimo: accompagnare l’ascoltatore in un viaggio fatto di introspezione ed estroversione, un viaggio diretto dal suo modo si sentire, un modo che dà voce alle vibrazioni degli alberi e ai movimenti delle foglie, alla fertilità o alla sterilità del terreno. Qui dentro, se vorrete, troverete brani che vanno dal minuto scarso al quarto d’ora abbondante, ma signori miei, pezzi come “ForeBears” non potranno che raffigurare tutto quello che il passato, inteso come un misto tra racconto tramandato e intima immaginazione, può significare attraverso la musica. “Gathering of Herbs” introduce il ritmo tribale della bellissima “Heill auk Sæll”, personalmente uno dei miei pezzi favoriti in assoluto, dove Vikernes passa in rassegna il pantheon norreno al solo ritmo di una percussione che ha l’intenzione di stabilire quei contatti sciamanici tipici del Seiðr, l’antica pratica magica nordica. Questa attitudine la ritroveremo più avanti in “Descent into Niflheimr”, e l’indole evocativa salirà altre volte alla ribalta, come nella già nota “Heill Óðinn, Sire”, apparsa diverse volte come sottofondo ai video del suo ex-canale YouTube cui abbiamo accennato più sopra. L’inquietante “Jötunnheimr” mi riporta alla memoria l’incedere del serpente primordiale Níðhǫggr, già visitato nella parte finale di “Fallen”, uno degli ultimi album dove ferocia ed ambientazione riflessiva si mescolavano assieme. Brevi ma suggestivi passaggi ci portano alla ninna nanna nordica per eccellenza, l’imperdibile “The Great Sleep”, dove il bardo rivisita un’antica filastrocca per bambini, dove ci ricorda che “è bello dormire e riposare fino al mattino” ma anche “fino alla prossima vita”; “The Lord of the Dwarves” e “A Forgotten Realm” stanno accompagnando ed accompagneranno a lungo le mie camminate qui, nella mia grande pianura verde, esattamente come quell’indimenticabile e lungo capolavoro che è “Rundtgåing av Den Transcendentale Egenhetens Støtte” di “Filosofem”. Continuando non posso non segnalare anche l’ipnotica “Thulêan Mysteries”, che dà il titolo all’album, 4 minuti e mezzo nei quali perdersi ed abbandonarsi come ai tempi di Tomhet. Difficile poi parlare specificatamente di ognuno dei 23 brani contenuti in questa nuova fatica del Conte, di qualcuno ho voluto farlo stavolta, anche se di solito non amo scrivere le mie impressioni descrivendo ogni pezzo, credo che questo spetti solo al singolo ascoltatore, tuttavia ritengo che due parole andassero dette in questo caso.
In conclusione Vikernes è quindi tornato, quanto meno a proporci quanto messo assieme negli ultimi anni, quelli dopo “The Ways of Yore”, le fetide paludi nelle quali Burzum, a suo dire, sembrava impantanato, hanno ricominciato a far defluire i flussi e le acque da torbide son tornate a scorrere limpide. Anche se loro non mi conoscono, ringrazio Kalhyma e Dopecity di Metal.it per le loro impeccabili video recensioni di questo album su Youtube, mi hanno fatto compagnia durante questo periodo convulso e caotico, periodo in cui la mia terra e la mia città sono diventate una “valle oscura”. Tornando all’inizio di questa recensione, non posso che riaffermare quanto disse Lovecraft ne “La città senza nome”:
"Non è morto ciò che può attendere in eterno, e col volgere di strani eoni anche la morte può morire."
Ecco, Burzum non muore e non morirà, Vikernes potrà andare e venire, da essere umano potrà nuotare in acque chiare o tornare ad impantanarsi nelle sue paludi, Burzum invece no, il Buio, quello necessario affinché brilli la Luce, non morirà mai.
Per chi lo vorrà, buon viaggio e buon ascolto.
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