Succedono, a volte, eventi di una tale imprevedibilità che risulta quasi impossibile controllarli. Situazioni che ci travolgono, ci sfuggono dalle dita, lasciandoci da soli a giostrarci con le conseguenze. La crisi del 2008, il precariato, i giovani senza più punti di riferimento. In un momento storico così imprevisto non poteva che essere preso come baluardo un genere musicale, antonomasia, almeno nel nostro paese, della contraddizione: l'indie. Migliaia di ragazzi con la scorza da hipster e il cuore da "poppettari" affollano locali radical chic, ascoltando il cantautore di punta del momento, la summa dei paradossi nel paradosso: Calcutta. Celebrato e incensato dal successo nazional-popolare con la sua ultima fatica "Mainstream", mi sento in dovere di svolgere un'operazione di senso contrario a quella del pubblico, rivolgendomi al debutto del cantautore laziale, "Forse...", prodotto che nella sua sconclusionatezza trova una compattezza ed indentità sonora mancante al secondo album, mostrando come paradossalmente, fino ad ora, sia questo il suo picco artistico. Imperniate sui due numi tutelari del cantautore (Lucio Battisti e Caetano Veloso), le canzoni brillano di un mood esotico, sulle quali si staglia una chitarra che oscilla tra la psichedelia e il folk sconclusionato. Gli arrangiamenti, nella loro semplicità, riescono a dare un senso di nostalgia, ottimo accompagnamento per la voce del cantante. E sta tutta qui la formula: un moderno Pierrot che si ritrova a raccontare al chiaro di luna piccole storie quotidiane, in un nulla metafisico, basato sul nessun luogo e nessun tempo. Piccole storie di nostalgia ("Amarena"), semplici divertissement ("I dinosauri") che ricadono improvvisamente in scalzonata poesia ("E ogni volta che sentivi un rumore/ uscivi fuori al balcone:/ era soltanto una foglia/ che si era messa a volare", da "Cane"), curiose quasi come il gran da fare di un bambino che organizza e crea giochi e storie con gli oggetti ritrovati casualmente in giardino, dal quale promana un fascino spontaneo grazie a quei gesti ingenui e sgraziati. Detto questo, si può parlare di capolavoro? No di certo, ma l'artista lo rimandiamo a settembre: chissà che il cappellaio matto, in questo gioco di caos e imprevisti, non tiri fuori fuori dal cilindro finalmente qualcosa di interessante...
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