Un giro del mondo in poco meno di 80 minuti.
Anche la nostra consorella (o sorellastra per molti) Francia ogni tanto ci regala qualche disco insolito e "impertinente" fuori dai soliti grossi nomi. Stiamo parlando di questa nuova lolita chiamata Camille, che nel 2005 ha sfornato questo cd di canzoni molto diverse una all'altra, tenute assieme da un "filo conduttore" sottile e appena percettibile. Un disco "strano" e volutamente non omogeneo con alti e bassi (pochi bassi a dire il vero) che passano indenni attraverso i più disperati generi e stili: dal simil trip hop della prima "La Jeune Fille Aux Cheveux Blancs" agli esperimenti soul/break-beat di "Ta Douleur", dalla World Gabrielliana di "Assise" ai pezzi tipicamente "a cappella" di "Janine I".
Una cugina prossima di Dani Siciliano o di Herbert in molti passaggi anche se al suo arco, questa giovane Camille, sembra avere più frecce tanto è il ventaglio di possibilità espressive proposto.
Si continua con "Vous", brano quasi afro cantato da ipotetici cori presi a prestito dal Paul Simon di Graceland per proseguire in questa specie di "giro del mondo in poco meno di 80 minuti" con il proto-funk di "Baby Carni Bird". Ce n'è per tutti i gusti insomma e forse la mancanza di una certa linearità stilistica potrebbe rappresentare il vero e unico limite a un disco talmente vario da risultare difficile da catalogare.
Con "Pour Que L'Amour Me Quitte" si cambia ancora registro riportando la voce esile e leggermente roca della nostra cantante su registri cantautorali forse a lei più consoni.
Ancora esperimenti prettamente vocali di minimalismo alla Steve Reich (!!) con il brano "senza" e il successivo "Janine II" debitori anche delle ricerche sonore di J. Cage e l'ultima Bjork.
Voliamo a bassa quota, nei paraggi di Parigi, col successivo "Vertige" dall'incedere pigro da tipica "chansonne francaise" per riprendere quota col brano quasi-scat per ritmo e voci ("Au Port") con dei fiati rubati al miglior Mano Chao dei tempi migliori.
Un disco, ripeto, impossibile da classificare tante sono le contaminazioni stilistiche e i riferimenti da cui attinge a piene mani. Con "Pâle Septembre" in stile Aznavour ci si avvia alla conclusione del viaggio che ci riserva la "sorpresa" di un brano, "Quand Je Marche", che si dilunga per pochi minuti effettivi salvo prolungarsi di almeno mezz'ora (!!) di un silenzio impalpabile fatto di una sola nota portata all'estremo, senza un nesso logico apparente. Come una chiusa Zen. Come se dopo tanto viaggiare si volesse riprendere fiato e capire meglio il da farsi. Come la calma dopo la tempesta. Come se il filo leggero che accompagna il sussurro per certi versi sgraziato di questa ragazza non volesse mai finire.
Un disco per certi versi minimalista con un unico grande strumento in primo piano: la voce. Sdoppiata, riverberata, sovraincisa, leggera, roca. . . insomma una voce polivalente e coloratissima che farà ancora parlare di sé. Ne sono sicuro.
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