Tago Mago è il secondo album in studio del gruppo di krautrock tedesco Can, pubblicato nel 1971. E' inoltre il primo album della band che vede ufficialmente alla voce Damo Suzuki, cantante giapponese che era sporadicamente apparso in qualche pezzo di ''Soundtracks (1970)''.
Il disco si apre con ''Paperhouse'', che riprende sostanzialmente il blues psichedelico anni 60' rinnovandolo in maniera eclettica. Lo scopo dei Can non è infatti quello di consacrare o emulare (come fecero parecchie band all'inizio degli anni settanta) la musica dei sixties, bensì di esaltarla, rinnovarla, e integrarla in qualcosa di completamente nuovo.
Se infatti i Faust e i NEU diedero il via a questo nuovo movimento musicale chiamato Krautrock in maniera ben più sperimentale, i Can si auto proclamarono progenitori della New Wave e di parte della musica che prenderà il via a partire dalla seconda metà degli anni settanta (fino ad arrivare ai giorni nostri). Il loro sound risulta infatti a tratti più orecchiabile, ma non per questo meno epocale.
''Mushroom'' e ''Oh Yeah'' mostrano già tutte le qualità vocali di Suzuki, accompagnato da chitarre graffianti che costituiscono un Blues a tratti malato ed astratto.
L'apice si raggiunge probabilmente in ''Halleluwah', brano dalla durata di ben 18 minuti che riassume in maniera perfetta il disco, esaltandone le qualità. Il pezzo è accompagnato infatti da ritmi che richiamano molto la musica Funk e quella africana, allo stesso tempo vi è un largo uso dei sintetizzatori. ''Aumgn'' è sicuramente il brano più sperimentale dell'intero disco, può essere infatti visto come un vero e proprio viaggio cosmico che attraversa le sperdute lande della psichedelia e della musica concreta. ''Peking O'' prosegue questo momento, i suoni elettronici adesso sono padroni del sound dei Can. Se prima l' elettronica d'avanguardia veniva esclusivamente ascoltata nella musica minimalista di gente del calibro di Terry Riley, La Monte Young o Steve Reich, adesso i Can, traendone una piccola parte, la amalgamano in un sound completamente nuovo, spettrale, epocale. Non si trattava infatti di utilizzare i sintetizzatori in maniera comune, come già facevano parecchie band all'epoca, bensì di usufruirne per creare qualcosa di assolutamente stravolgente. ''Bring Me Coffee Or Tea'' è un brano più distaccato dalla sperimentazione che accomunava le ultime tracce, e si riallaccia ai primi brani; è comunque la degna conclusione di uno degli album più significativi e monumentali della storia della musica.

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