L’ennesimo capolavoro dei cinque cannibali americani era stato annunciato come un lavoro molto diverso dai suoi predecessori: dopo un mediocre “Vile” ci si aspettava un ritorno in grande stile dei nostri, che a quanto pareva non riuscivano più a riprendersi dopo la botta causata dalla dipartita del grande Chris Barnes, andato a fondare il suo gruppo, i “Six Feet Under”, dopo aver dato alla luce insieme agli altri quattro individui capolavori e capisaldi del Brutal quali il violentissimo “Tomb Of The Mutilated” e il geniale “The Bleeding” che segnò l’ultima, gran prestazione del gruppo fino a questo “Gallery Of Suicide” del 1998.
L’attesa spasmodica, quindi, aveva dato luogo ad una serie d’acclamazioni e complimenti, quando le note di “I Will Kill You” entrarono per la prima volta nelle orecchie d’ascoltatori antropofagi vogliosi di carne umana.
Non è un caso che “Gallery Of Suicide” sia stato collocato tra i migliori album Brutal dell’anno 1998: il Black Metal stava ricalcando la strada del successo apertasi circa tre anni prima, il Death Metal risentiva di un periodo di crisi causato proprio dalla diffusione del Black, i Death del compianto Chuck si avviavano allo scioglimento, i Morbid Angel avevano pubblicato da un anno l’appena sufficiente “Formulas Fatal To The Flesh” e, soprattutto, i “cugini”, i più grandi nemici (musicalmente) dei Cannibal Corpse, gli altrettanto (o addirittura superiori, secondo me) validi Suffocation si erano sciolti l’anno precedente, lasciando in testimonianza solamente il ricordo del meraviglioso EP “Despise The Sun” e dei bei tempi andati.
Non è un caso, dunque, che ogni nuova notizia riguardante i Cannibal fosse benvenuta. E “Gallery Of Suicide” è un disco che, ai tempi, fece esclamare ai deathsters: ”Sì, cazzo, i Cannibal sono tornati!”.
Sono tornati, e più in forma che mai: conferma sonora n’è la già citata opener “I Will Kill You”, che fa riprendere i Cannibal da dove li avevamo lasciati: Pat O’Brien, già nei Nevermore, ha portato alla band quella manciata di tecnica in più che serviva per raggiungere livelli impensati, essendo già i passati cd una gran dimostrazione di virtuosismo, mentre George Fisher, l’impressionante cantante ex-Monstrosity, si eleva una spanna sopra il pur ottimo Chris: non più un growl monotono, sempre della stessa cupezza, ma un’estensione vocale che va dal growl più cupo e assassino fino ad uno screaming di natura quasi Black, passando per una tonalità che ricorda inequivocabilmente Bret Hoffman dei Malevolent Creation (sentite l’urlo alla Bret, sempre sull’opener).
La tecnica è elevatissima, concentrata perlopiù nelle mani dei due fenomenali chitarristi e dell’incredibile bassista, mentre alla batteria troviamo un comunque ottimo Paul Nonsocomesiscrive: la produzione, eseguita da Jim Morris, è semplicemente impeccabile, offre suoni limpidi e chiari pur mantenendo una fortissima componente tritatutto. I geniali riffs, tecnicissimi e sempre al servizio della brutalità più estrema, suonati in maniera impeccabile da O’Brien e Owens, si succedono senza sosta, seguiti da Alex Webster (ormai ho esaurito gli aggettivi per lui…) che ne fa di tutte i colori dietro alle cinque corde, ed un Paul Mazurkiewicz (potrei aver sbagliato a scrivere il cognome) che offre un drumming spesso elementare, mai troppo elaborato ma comunque puntuale e molto preciso.
Ecco quindi, dopo l’incedere dell’opener, arrivare altre tredici stupende perle di brutalità, tra cui segnalo la violentissima “Blood Drenched Execution”, la onirica title-track, la fenomenale strumentale “From Skin To Liquid”, che inizialmente ricorda molto le parti di chitarra melodica sentite sul capolavoro “Destroy Erase Improve” dei Meshuggah per poi far spuntare tra i riffs i Suffocation di “Pierced From Within”, e tutte le altre, che più di essere descritte dovrebbero solo essere ascoltate.
I Cannibal Corpse (e soprattutto Alex Webster) sono più in forma che mai, e solo questo ne giustificherebbe l’acquisto! Ottimo materiale suonato alla megliodicosìnonsipuòproprio: cos’altro aspettate?!

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