Puglia. Lecce. 1990. Nasce Carolina Bubbico.
Puglia. Lecce e dintorni. 2015. Nasce “Una donna”, secondo album della cantautrice Carolina Bubbico.
E’ la prima volta che parlo di un’artista italiana, ma lo faccio con estremo piacere nel periodo in cui vanno per la maggiore le varie Emma/Alessandra/o la prossima del calderone mediatico, quello che resta dell’Elisa che fu, il come back di Gianna Nannini o la sempreverde mia vicina di veracità romagnola, la Lavra Pavsini. Ecco, proprio nel 2015, oltre a dirigere “Il Volo” (e vincere come direttore d’orchestra la kermesse) e “Serena Brancale” a Sanremo, la cantante pugliese, trova il tempo di realizzare un ottimo prodotto: “Una donna”.
La figlia di Luigi Bubbico (pianista, docente di conservatorio) e Irene Scardia (pianista e compositrice) si fa accompagnare in questo percorso di 9 brani (una sola cover, “Superstition” di Stevie Wonder) da un musicista straordinario come Luca Alemanno (basso elettrico, ora al Thelonious Monk Institute of Jazz per il triennio 2016-2018, in tour con Herbie Hancock e Wayne Shorter), dal creativo batterista Dario Congedo, dal fratello Filippo Bubbico (chitarra, voce, produzione) e da una big band con Emanuele Coluccia (sax tenore), Raffaele Casarano (sax soprano), Alessandro Dell’Anna (tromba), Gaetano Carrozzo (trombone), Roberta Mazzotta (violino), Nico Ciricugno (viola), Federico Musarò (violoncello) e Clara Calignano (Flauto).
Come detto otto dei nove brani sono composizioni originali, tutti scritti, arrangiati e cantati dalla prossima 28enne pugliese, anche lei polistrumentista (basso, contrabbasso, violino, violoncello, batteria) e capace in “Snob Fox”, brano elettro-swing, di essere indipendente grazie all’uso sapiente della loop station e launchpad.
Partiamo dalla fine, ovvero dalla “superversione” di “Superstition” con tappeti armonici vocali, su cui si insinua una linea di basso funky e la meravigliosa voce solista di Carolina, fine, precisa, mai scontata. Una riproposizione davvero gustosa, soprattutto considerando con chi ci si va a confrontare: mai semplice “coverizzare” la leggenda della black music.
Ci sono ballate malinconiche e raffinate come “Signorina distanza” o l’intro terzinato di “Quando fuori piove” che introduce l’album ad un’atmosfera patinata, con liriche ben scritte e metriche non banali, si arriva al singolo “Cos’è che c’è”, la canzone forse più jazzy-pop (Simona Molinari style per intenderci), con un arrangiamento dal largo uso di ottoni, che ci riporta ad una musica di 50 anni fa, ma a colori.
Sono decisamente introspettive “La vita è tutta mia”, convincente la pedana di archi contrapposta al beat di Congedo, e “Le mani ti raccontano”, sussurrata, leggera, ma sempre viva e interessante.
Concludo con la funky “DistrattamAnte” e sottolineo la “A”, come ha fatto lei al concerto a Cutrofiano, che ne cambia, e non poco, il significato, e con la mia canzone prediletta, ovvero “Etilady”, con la chitarra elettrica di Luca Colombo (turnista anche per Lionel Richie, Al Jarreau, Phil Collins, Rebecca Ferguson, Michael Bublè e James Blunt) ed un arrangiamento della stage band di assoluto valore tecnico e compositivo.
Un album che scorre veloce in meno di 36’ di ascolto e che “sponsorizzo”, perché la musica italiana, per fortuna, non è solo quella che passa per la radio.
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