Finalmente arrivò il tanto atteso (finto) debutto di Caroline Polacheck. Finto perché Caroline ha una carriera quasi decennale: dopo i suoi trascorsi negli interessanti Chairlift e il side-project Ramona-Lisa, arriva finalmente il primo album dell’artista firmato col suo vero nome.
Caroline apre il cancello (la prima traccia si chiama letteralmente “The Gate”) del suo mondo e ci fa entrare in uno spazio cibernetico, fatto di elettronica leggera e racconti emozionali. Molti addetti ai lavori hanno definito questa manciata di pezzi pop del futuro o pop futuristico. Stranamente, le etichette appioppate dalla stampa non sono poi così lontane dalla realtà.
Siamo di fronte ad un album di pop elettronico con alla base una scrittura solida. Che i pezzi rappresentino un pop di gran classe lo confermano le versioni acustiche (disponibili su youtube), che avvicinano queste fragili composizioni a quelle di mostri sacri del passato quali Joni Mitchell, Kate Bush e Tori Amos (con le dovute distanze spazio-temporali).
Caroline Polachek ci mostra un universo oscuro e digitale, in cui la voce, oltre ad essere un importantissimo strumento di espressione, è un vero e proprio strumento musicale. Cori obliqui che tagliano l’aria come spade fendenti (il ritornello di “Pang” ne è un esempio brillante), acuti da sirena che ricordano le vette esplorate da altre grandi cantautrici (ascoltare “Ocean of Tears” per capire cosa intendo), o la semplice psichedelia vocale accompagnata da oscuri synths di “Insomnia” ci mostrano una voce potente e malleabile (alcuni brani richiedono delle vere e proprie acrobazie vocali).
Il sound ci catapulta in un’era che ancora deve arrivare (post corona virus, post discioglimento dei ghiacciai, in cui siamo un po’ umani un po’ macchine). I beat leggeri sono ricercati e ogni inserto (vocale e/o elettronico) è pensato nei minimi dettagli (questo un album va ascoltato rigorosamente in cuffia, anche se pure il vinile ha il suo perché). Ogni ascolto ci regala nuovi particolari da apprezzare (un vocalizzo che funge da accompagnamento, un acuto che si perde nell’elettronica sottostante). La tessitura centrale di tutti i pezzi è costituita da synth e beats a cui la cantante si diverte ad aggiungere diversi strumenti (ad esempio la chitarra elettro-country in “New Normal” o il piano nelle dolcissima “Look at me know” e “Go As a Dream”).
Pur essendo il bilancio di questo esordio è positivo, si poteva fare di più. Innanzitutto, la tracklist presenta alcuni brani che cozzano con l’atmosfera elettronica e cupa dell’intero progetto. “New Normal” e “So Hot You’re Hurting My Feelings” sono pezzi pop di ottima fattura, ma che spezzano il pathos che si respira nell’intero album e potevano essere lanciati come singoli a sé stanti. Inoltre, alcune canzoni sembrano non essere sviluppate a dovere (tutti i brani si mantengono sui tre minuti, a parte “Door” che supera abbondantemente i cinque minuti) e in alcuni casi la parte strumentale è talmente interessante che avrebbe meritato “assoli solisti” (quasi totalmente assenti)
Caroline Polachek ha grande talento ed intelligenza e se in futuro sarà in grado di conciliare la sua anima pop con quella più sperimentale (come succede nelle vette di questo disco), sarà una da seguire attentamente.
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