1. Disputatio de autorialitate.

Perché mai dovremmo considerare l’invenzione su di un piano differente rispetto alla (ri-)scoperta?

Più concretamente: se le “Goldberg-Variationen” fossero cresciute sugli alberi invece che esser state messe per iscritto da Giovan-Sebastiano Bach, forse per questo perderebbe valore la luce che da esse promana? O viceversa: se l’opera omnia di Nino d’Angelo fosse un giorno attribuita a Leonardo da Vinci, forse per questo smetterebbe di procurare defecazioni?

Sì, lo so. Queste sono sterili chiacchiere da bar. Sono d’accordo; se non fosse per un dettaglio: il ruolo che l’autorialità — l’invenzione, l’originalità, il genio: tutti termini da far accapponare la pelle— svolge (anche solo lessicalmente) nel cant-autorato.

Ora, è possibile considerare “cantautorato” quello nel quale le canzoni non sono inventate ma riscoperte?

Se la risposta è no, mi dispiace per voi.

Se la risposta è sì, leggete anche il punto 2.

2. La Leonard Cohen del Lungarno.

Le ruvide nenie riscoperte dall’etno-musicologa autodidatta Caterina Bueno (San Domenico di Fiesole, 2 aprile 1943 – Firenze, 16 luglio 2007) e registrate ne “La veglia”, suo primo LP del 1968 — anno tutt’altro che infausto per la canzone d’autore—, sono quanto di più sincero si possa trasporre con voce e chitarra.

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