Los Angeles; Sunset Boulevard, i cocktail party negli exclusive resorts affacciati sul Pacifico, la Walk of Fame, Hollywood, gli sfarzi di Beverly Hills e le dancefloor nei lussuosi nightclub. Simboli della West Coast che si muove al ritmo del divertimento più sfrenato dove corpi sudati e profumati di salsedine oscillano smaniosi sotto un sole cocente. Eppure la Città degli Angeli, strano a dirsi, ha partorito le tenebre più scure che si possano immaginare, l'eclissi per antonomasia, il Regno della Notte nella figura pallida e oscura di Rozz Williams con la sua sinistra creatura Christian Death.
L'iconografia di Rozz, diametralmente opposta a quella della sua L.A., sempre agghindato in abiti blasfemi e anticonformisti, permea l'entità Christian Death a sua immagine e somiglianza ed iscrive la band nei ranghi più elevati dell'underground musicale americano. Nel solco della migliore tradizione goth-rock, horror-punk di Bauhaus, Siouxsie And The Banshees, Sisters of Mercy, Misfits e Cramps, i nostri californiani producono nel 1982 e 1984 due capolavori destinati a diventare pietre miliari del genere: "Only Theatre Of Pain" (Frontier Records) e "Catastrophe Ballet" (L'Invitation Au Suicide). Ma l'estro e l'imprevedibilità dei genii riservano sempre sorprese clamorose. E così Williams, in vena di nuove sperimentazioni musicali e figurative e in aperto dissidio con le scelte del gruppo, abbandona dopo il terzo lavoro "Ashes" (L'Invitation Au Suicide, 1985) (piacevole ma decisamente minore rispetto ai primi due), consegnando le redini al polistrumentista Valor Kand e Gitane Demone (subentrati nei C.D. durante le registrazioni di "Catastrophe Ballet"). I due, forti di un sound collaudato ed acclamato dalla critica specializzata, continuano sulla linea tracciata da Rozz aggiungendoci una componente art-hard-rock facilmente mantecabile con le sonorità embrionali. Con questa ensemble e questa nuova virata musicale piazzano "The Wind Kissed Pictures" (Supporti Fonografici, 1985), Atrocities (Normal, 1986) e nel 1987 sempre per la Normal, il quinto lavoro "The Scriptures".
I fan della prima ora non hanno affatto digerito questa nuova pelle della band bocciando in toto la nuova direzione. Considerando l'era Williams unica e irripetibile ed evitando un iniquo, inutile paragone, "The Scriptures" è un lavoro complesso, difficile da capire ed apprezzare al primo ascolto e merita un'attenta analisi, quella che si riserva agli album che non si svelano facilmente, quelli a cui bisogna togliere la patina superficiale per rimanerne abbagliati. Il simbolismo minimale e inquietante piazzato su sfondo nero in copertina è un eloquente biglietto da visita. Un concept album sul ruolo delle religioni nella storia e nelle società, dove Valor si avventura in profondi percorsi filosofici e metafisici, mettendo in risalto le sue eccellenti liriche cantautorali. L'incredibile capacità creativa e strumentale del nuovo frontman ed il talento cristallino che risiede nell'ugola di Demone, cavalcano e conducono un viaggio a borbo di una linea sottile tra angosce, riflessioni e ricordi, parlando con coraggio e senza remore, di tabù quasi impronunciabili come il sesso, l'HIV e la religione cattolica (a cui rivolge le critiche più feroci).
THE DAYS OF YORE AND NONCE
La prima parte dell'album si apre con il capitolo "The Days Of Yore And Nonce", la sessione più energica, piu gothrock. "Prelude", anticamera del disco, attinge da un passo della Bibbia (Matteo 12:39-40) terminato in un infinito loop "Gesù è sceso nell'inferno" che distoglie l'ascoltatore dal senso del versetto ed assume i connotati di una condanna, di una inquisizione. Rapida riflessione ed il tempo dona spazio ad una ouverture di violino secca e tagliente che innesca "Song Of Songs"(relativa al Cantico dei cantici, testo contenuto nella Bibbia ebraica e cristiana, attribuito al saggio re Salomone), dove la voce baritonale di Valor persuade tutte le trombe di Eustachio nel suo raggio di portata e Demone, in ritornello, urla straziata d'esser "ammalata d'amore"; anche noi incominciamo ad esserlo. "Six hundred and sixty six, worship the wild beast" suona la blasfema "Vanity", la traccia più ostile al cattolicesimo delle dodici, che rincara la dose sostenendo che "Siamo tutti prostitute di Dio e uomini, questa è la nostra vanità". La sucessiva "Four Horsemen" nelle prime note assomiglia addirittura a "Rejoyce" dei conterranei Jefferson Airplane, un improbabile accostamento di generi e di ere musicali che si dissolve in un minuto, quando il basso incalzante di Kota e la batteria di David Glass cambiano registro donando un pregievole punk rock affine e omogeneo al primo lato del disco. E dopo arriva "1983". Se c'è un motivo valido per possedere quest'opera, risiede in questa sconvolgente, ammaliante cover del compianto Hendrix, collocata nelle primissime posizioni di un'ipotetica, immaginaria classifica delle celebri reinterpretazioni. La chitarra ipnotica di Valor, creme di altissima accademia, master in scienze dei percorsi onirici, accompagna la surreale, magnetica voce di Demone, giunta da un'indefinita dimensione parallela, in un orgiastico assemblamento di canto, chitarra e batteria che chiude la prima parte del disco in uno sciame di indelebili emozioni, continuando a ronzare in testa quando la puntina, a fine corsa, e tornata ad allocarsi nel suo ricovero e donando il silenzio che precede la seconda parte, quello per meditare, per riflettere e per metabolizzare lo shock.
THE WOMB OF TIME
Girato il disco, cambiano le sonorità, i b.p.m. Le atmosfere si dilatano e suonano più grevi e fredde, complici di un sound decisamente sperimentale ed ambientale, per molti versi un canonico industrial in auge proprio in quel periodo. Difatti l'iniziale, inquietante "Omega Dawn" sottolinea l'inversione di rotta, sancita da una marcia marziale rullante-cassa che comparirà in altre parti della seconda sessione. Uno scenario apocalittico dove la terra tutta arde, il mare diviene una distesa di sangue e tra indicibili angosce si arriva spediti e sconcertati, dopo il minuto e mezzo di rumori indefiniti di "A Ringing In Their Ears", alla commovente "Golden Age". Ecco, questra traccia è il secondo motivo (solo per ordine di scaletta) per cui bisogna possedere suddetto disco."Children and fairies chattering secrets in pretty ears", il momento perfetto della vita, le energie, l'ardore, la forza che sfrontatamente ti spinge ad abbracciare un mondo che sta sorridendo alla tua giovane età, anni così vivi ed intensi che volan via prima che possa soffermarti o indugiare. Così la luce di un'alba radiosa scorre dolce e inebriante nella lirica ipnotica di Gitane Demone e diventa ben presto un tramonto incendiario, il crepuscolo dell'esistenza. Tutto finito, tutto vissuto, tutto goduto in tre minuti e mezzo di eternità, troppo pochi per appagare le nostre orecchie ma assolutamente, incredibilmente perfetti per aggiungervi anche un sol respiro in più. Il tramonto, il crepuscolo annunciati giungono per davvero nella sucessiva "Alpha Sunset", brano dai toni rassegnati dove il canto di Valor si trascina stancamente tra storie di guerrieri antichi e principi della guerra. L'interludio marziale di "Spilt Blood" sfocia in "Raw War", una cupa sperimentazione condotta, per grandi linee, da batteria e chitarra, dove Gitane trova spazio per narrarci storie di suicidi e di fantasmi. L'opera concede l'ultimo palcoscenico a "Reflections". L'incipit di pianoforte è qualcosa che ti devasta l'anima, ma è solo la prima delle molte aree che costituiscono questa mini suite. Voci lontane e asincrone, profonde tematiche dark ambient condite da spettrali pianoforti, la solita, persistente marcia rullante-cassa ed un gong percosso nelle ultime note, impacchettano il lavoro. Le diecimila copie in prima edizione sono uscite con allegato un 7" che contiene le tracce "Jezebel's Tribulation" e "Wraeththu".
Trent'anni sono passati da quel lontano 1987, eppure i bagliori, i misteri e le storie intrinseche delle pagine allineate nei solchi di quest'opera continuano ad affascinare. L'età d'oro di Rozz e dei suoi monumenti sonori rimarrà scolpita nel firmamento musicale, e taluni ricorderanno forse che cinque anni dopo, nelle lunghe, afose giornate californiane, un'appendice del nostro buon Rozz ha concepito delle importanti "scritture" da consegnare ai posteri.
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