Nel mezzo della notte, la decadenza mi bussò alle porte .

I sottili capelli ramati di Lorelei erano illuminati come raggi di sole, ornati di primule e conchiglie che adornavano le spalle ed il seno ; il suo specchio era l’acqua limpida della Sprea che da secoli bagna una trasformista Berlino, sorta, perduta e risorta dal secco letto del suo fiume natio.

Dai primi slavi di Brandeburgo il canto di Lorelei ha turbato nel folklore germanico ma non solo, miriadi di generazioni di uomini, nella tradizione le ondine sono delle muse Belle e senz’ Anima, che acquistano le umane sventure solo quando il loro amore viene parimenti ricambiato.

Inizia da un epilogo tipicamente godardiano questa bizarra opera di C. Petzold ; Undine e Johannes sono appartati in un bistrot di fronte al museo dove lei come guida turistica freelance espone ai turisti i progetti urbanistici di Berlino. Seduti di fronte ad un tavolino, i silenzi anticipano che la loro relazione e’ gia ai titoli di coda , Lei dice “Se tu mi lasci per lei non potrai che morire, ricordatelo”. La fermezza di questa affermazione e’ rivelatrice di tutta una atmosfera magica , che e’ soprannaturalmente il sale del cinema di Petzold e sovente anche motivo di smarrimento per lo spettatore sprovveduto , che con i simboli e le iperboli del suo linguaggio stenta a mantenere il governo delle sue palpebre. Da lì in avanti infatti , con una messinscena a tratti sorprendente, entreranno in gioco e compariranno nell’ordine , un nuovo tenero ed a volte goffo amante per la giovane Undine , artigiano subacqueo , frammenti di acquario frantumato dall’emozione del primo incontro sulla pancia di Undine, una macchia di vino che sembra sangue sul muro dell’appartamento, l’apparizione di un enorme pesce gatto , nelle profondita’ del fiume, insieme ad una lapide raffigurante nel letto del fiume il nome di Undine , genesi rivelata della ninfa o anticipazione della futura dimora ...

Nella psicanalisi sovente il canto della sirena risultava essere l’espressione più genuina e pura dei processi dell’inconscio sociale, driver di una iniziazione alle percezioni di un mondo fiabesco che elevava, dopo alcuni ludici e brevi intermezzi , infine in superficie le paure piu’ ancestrali dell’uomo.

Ma anche quelle piu’ materiali e tangibili , come la distanza e la perplessita’ del cambiamento.

E se il sottotesto della professione di Undine, del suo impiego all’interno del museo Humboltd Forum come guida potrebbe sembrare un pretesto per far luce sulla figura integrata e sociale della ninfa , il contenuto delle sue esposizioni , sulla storia urbanistica della città, sulle sue divisioni storiche, e ‘ ricco di materiale e invece intrisecamente legato morfologicamente allo stesso mito che incarna la giovane protagonista.

Da questo canto , che nel film si avvale di una sua personale coralita’, esclusivamente orchestrata dall’ Adagio in re minore di Bach, viene evocata una storia psicomagica di una ondina in apparenza perfettamente integrata nel tessuto sociale della sua Berlino , guida museale che sfoggia una accorta poetica sulle infrastrutture architettoniche di Berlino con intrecci di politica , cultura ed economia , che culmina dopo aver smussato tutti gli angoli , nell’eterna dialettica , tra i ricordi della citta’ vecchia ed il nuovo che avanza impassibile.

Ed in questo Pantheon , all’occorrenza urbanizzato ed evoluto in metropoli digitale, quale emblema piu’ visionario di Berlino ci potrebbe essere.

Con una citta ‘ che dal punto di vista architettonico era specchio di due precise e distinte ideologie, città ipermoderna risorta appunto dalle sue macerie storiche , dalle architetture della logica dei vuoti caratterizzante la DDR alla nuova modernità occidentale della capitale , che tutta la storia ha inghiottito in sol boccone ; è questa forse la negazione del progresso , si lascia scappare “off plan” Undine nel mezzo di una sua esposizione ai turisti in museo.

O forse si potrebbe parlare di negazione dell’amore , in quanto nel momento in cui Joahnnes ci ripensa e ritorna in gioco , tutti i nuovi equilibri , anche con il nuovo amato saltano uno dopo l’altro, nella constatazione che non e’ semplice cambiare asetticamente una direzione , un percorso per ripercorrerne uno piu’ moderno e funzionale , senza poi inevitabilmente fare i conti , con il peso di tutte quelle cicatrici ….

Opera gravitazionale , sospesa tra Mito e Urbanistica , in mezzo la trama occulta del pensiero di Petzold lascia poche certezze e molti punti di domanda , anche quando la regia rischia l’harakiri e l’impossibile , nel finale tra l’altro stupendo , citando testualmente una delle opere piu’ affascinanti del 900 , “ L’ Atalante “ di Jean Vigo .

Mantenendo , anche in quel proverbiale incidente , sempre la sua elegante fluidita’ .

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