La maggior parte dei sedicenti cultori di Cristofer Nailon quando ti sbrodola i suoi film preferiti, con tanto di retroscena e congetture nerds (i fens di Nolan sono simpatici un po' come i fanatici settoriali del progressive rock, appartengono allo stesso ramo evolutivo), non fa mai, assolutamente mai il nome di Following, il suo primo lungometraggio (70 minuti bastano). Non solo, molti di questi manco lo conoscono.
Dovrà essere un capolavoro - penso.
Un po' come quando mi imbatto nei "fanatici" dei Pink Floyd che non conoscono i primi due album, ce ne sono una quantità inquietante. Da una prospettiva prettamente logaritmica, secondo la quale la somma dei due fattori è ininfluente rispetto al tasso sostenibile che è proporzionale al fattore idraulico, la cui descrizione dei semiassi maggiori del vettore transita direttamente su qualunque alternazione interna (considerando i termini di condizioni elettromagneticamente stabili, si potrebbe usufruire del dividendo costante, sebbene talvolta porti ad un asse temporale influente), il buon 78% dei ferventi ammiratori dei PF si ascolta solo ed impudentemente il post-Barrett.
Per inciso, sul Debiase il film non c'era nemmeno tra le opere del (arcinoto) regista, ho dovuto inserirlo per l'occasione.


Bando alle ciance.

Vale un po' il discorso fatto per Lesson No.1: è l'opera di rodaggio stilistico/concettuale che precede il capolavoro, che in questo caso è Memento (persino lui non incensato come meriterebbe, anzi sminuito). "Rodaggio" termine usato solo in relazione al film del 2000: questo è un film di mortone sopra la media e per me il secondo del regista, non di poco sopra gli altri (sovente clichettose americanate con annessa recitazione insopportabile alla "guarda come vado impostato", e pomposità gratuita a imperversare, tronfia e boriosa; non so che gli sia successo dopo il 2000, forse i soldi, l'eccessiva secrezione di gonadotropine corioniche...).


C'è questo tipo: disoccupato, velleità di scrittore, trasandato, tugurio-munito, a cui a un certo punto viene la mania di seguire in strada persone scelte casualmente, senza uno scopo ben preciso, semplicemente immedesimandosi e facendosi trasportare dalle loro vite per un breve lasso di tempo. Lui giustifica il fatto dicendo che vuole ovviare alla necessità di trovare un soggetto interessante per la sua macchina da scrivere, ma a ben vedere è perlopiù la noia a muoverlo.

Tra un pedinamento e l'altro il signorino si "imbatte" così in un giovane ed elegante ladruncolo molto sicuro di sé, Cobb (unico personaggio del film con un nome proprio [...]), che lo convince a compiere assieme a lui piccoli furti senza scopo di lucro nelle case di soggetti pedinati. Il signorino è ammaliato dai suoi metodi, dal suo agire calcolatore e dalla sua "filosofia" e inizia a procedere praticamente sotto la sua "guida spirituale", iniziando nel contempo, finalmente, a battere sulla sua macchina.
Non vado oltre perché la struttura narrativa rende ogni cosa praticamente una "rivelazione", non che contrariamente ci sarei andato.


La prima cosa che balza all'occhio è l'estetica. Un granuloso bianco e nero che lascia incantati, con una rilassante bassa luminosità compensata da un netto contrasto che lo rende incredibilmente "cool", quasi caravaggesco. Riguarderei il film a nastro solo per essere deliziato dalla fotografia, ogni fotogramma potrebbe essere un poster. Il bianco e nero poi si sposa perfettamente con ogni aspetto della pellicola: che siano le ambientazioni cittadine, l'atmosfera noir, i dialoghi taglienti (molto spesso conditi da un sottile quanto ficcante umorismo), l'aspetto dei personaggi, il loro "basso profilo".
La regia è relativamente semplice, movimenti e inquadrature non sono particolarmente "ricercati", ma la loro crudezza ed efficacia sì.
Tutto è all'insegna del massimo risultato con il minimo sforzo (a partire dal budget prossimo allo zero), quanto basta per non lasciarsi sfuggir (quasi) niente, e non sacrificando nulla dal punto di vista formale: il lavoro è certosino, il risultato senza sbavature.

Il film, per stile ed estetica, si può riassumere come un Jim Jarmusch un po' più sofisticato: molto indie, asciutto e minimale nel montaggio e nei dialoghi (non una battuta di troppo, uno sproloquio, un'inquadratura sprecata), veloce, schietto, brillante, eppure molto raffinato: mi sembrava di star vedendo un film di Godard a tratti, specie nei primi piani e durante i dialoghi. [Una menzione anche alla recitazione, molto naturale. (Ogni scena ha potuto prendere massimo due take per necessità di risparmiare sulla pellicola, perciò all'inizio delle riprese gli attori si ritrovavano già con molte prove sul groppone)].

Andando avanti si inizia, inoltre, a respirare un'aria sempre più lugubre, lynchiana, quasi surreale (rafforzata da un commento musicale ambient ed etereo), con la vicenda che degenera in toni sensibilmente più “drammatici”, arrivando al finale in cui l'oppressione disturba fisicamente lo spettatore: assolutamente kafkiano. Questo coinvolgimento è in parte dovuto al modo unico in cui è narrata la storia il quale, esattamente come in Memento, da un lato aiuta a nutrire la nostra curiosità, dall'altro ci fa immedesimare maggiormente nelle difficoltà e nel disorientamento che esperirà il protagonista.

Di contro, dal punto di vista della sceneggiatura il film risulta forse un po' troppo artificioso, e poco chiaro sul finale. Non volendo essere didascalico lascia, entro un ragionevole limite, spazio a interpretazioni, senza per questo commettere rilevanti errori logici o di scrittura. Qualcosa scricchiola in tal senso ma la più che legittima lettura "allegorica" del film fa sospendere le eventuali incredulità.


Tornando al "modo in cui è narrata la storia", il metodico decostruttivismo temporale che Nolan propone in una forma radicale, come nessun'altro aveva fatto prima, è già qui perfettamente compiuto, con segmenti di futuro e di presente che si inter-scambiano disfacendo il puzzle che starà a noi, come al protagonista dal canto suo, ricomporre.

La diversità temporale dei vari frammenti, però, sarebbe indistinguibile dallo spettatore senza un espediente visivo, che Nolan trova nel cambio di aspetto (non solo estetico) del personaggio del signorino, capace sia di essere utile in tal senso che di essere non fine a sé stesso, anzi determinante, nella vicenda. Il film, per quanto breve, riesce quindi a sviluppare anche un'evoluzione caratteriale del suddetto personaggio, la quale lo porta a essere se non altro più sicuro di sé, grazie al compagno di furti che gli fa indirettamente da "lepre".

Questo è uno degli elementi che dimostrano come il regista sia andato anche oltre l'attenzione nella cura dei dettagli.

La sensazione, molto soggettiva, che mi trasmette questa "rappresentazione" decomposta del tempo, tralasciando la narrazione e le volontà dell'autore, è che non c'è un prima e un dopo: il tempo non è un vettore ma è un punto, senza dimensioni; ogni cosa, passata, presente e futura, accade sempre, in ogni momento, e quest'"ogni momento" è in realtà un unico, infinito momento. Siamo noi che esperiamo il tempo ma in realtà, appurata la sua relatività (ad esempio, dentro a un buco nero non scorre), potremmo benissimo immaginare che tutta l'esistenza sia un singolo attimo. Interpretazione della poetica forse neanche del tutto campata in aria viste le tematiche del suo successivo Interstellar.


Concettualmente, insieme a Memento e a The Prestige più che ad altri, Following potrebbe formare una trilogia del "dubbio", ovvero dell'apparenza che cela insospettabili verità, della paranoia instillata sadicamente dalla società nelle persone, che, soggiogate, si riducono a dubitare di ogni cosa, a essere sempre più diffidenti, fredde, inumane, fino a impazzire. Sfociante dunque in una concezione profondamente pessimistica dell'uomo (e quindi della società, del vivere socialmente), che è mosso esclusivamente dall'interesse personale e disposto a ogni tipo di sopraffazione pur di conseguirlo. Tangenzialmente a questo tema "negativo" c'è un tema "positivo", che è un vero e proprio culto per Nolan, ovvero l'elogio del controllo: la capacità di calcolo e di controllo da parte dell'individuo sulla sua vita e su quella altrui, la capacità dell'uomo nel manipolare la natura, il ripudio del caos, l'ossessiva ricerca dell'ordine 'universale', in definitiva, l'elogio della "mente".
Ed è proprio per questa componente che alla quasi totalità dei film di Nolan è praticamente inibita la presenza di sentimenti.
Quest’ultimo è anche il tema chiave che (dopo averlo guardato) ci farà vedere Following dalla giusta prospettiva: il film lo approcceremo "in battere" ma ci accorgeremo che è "in levare".

È comunque notevole come Nolan, sin dal primo lavoro - certo approfondita e ampliata successivamente - abbia avuto una sua peculiare e ben definita poetica che, nel bene e nel male, lo ha reso uno degli autori più unici e riconoscibili nella storia del cinema.


La differenza tra i due personaggi sarà alla fine emblematica: un aspirante (intransitivo) scrittore di ultima fascia, insicuro, un po' ingenuo, che cerca "storie", che vive passivamente, tanto da esperire (da esterno) esistenze altrui e un ladro, freddo e calcolatore, creatore di storie (egli vive, partecipa alla sua vita e a quella degli altri attivamente, modificando, plasmando).
Il ladro racconta la sua "storia", beffardamente, allo scrittore.


Ispirazione. È il termine che mi sento di associare a questo esordio. L'ispirazione del giovane talento ribollente di idee unita all'ingegno da carenza di mezzi e alla libera spensieratezza della prima opera (come ha in parte raccontato lo stesso Nolan in un'intervista).
A conclusione, lo definirei un Memento senza il connubio perfetto e unico forma/sostanza, con la forma asservita solo in parte alla narrazione, i cui personaggi e la storia sono più un pretesto per portare avanti un'operazione cubista sull'impalcatura narrativa.

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