Il tempo più crudele è quello che corre Nolan per farci stare tutto in due ore e mezza. Si viaggia frastornati sulle montagne russe di una trama complicata e compressa, asfittica. 150 minuti di fatica per i nostri neuroni, di tensione parossistica quasi senza stacchi, di musiche tonanti, titaniche, che sembrano volerci sfondare i timpani.

Una grandissima e bellissima masturbazione da cinema action scombinato come in un cubo di Rubik, amplificato, riverberato su se stesso fino all'ossessione. Lo spionaggio e le botte, gli inseguimenti in auto e le sparatorie, anche l'amore e la violenza domestica. Tutto entra nel vortice dei paradossi e delle distorsioni temporali, e ne esce trasfigurato.

Il prezzo dello spettacolo è immane, un patto col diavolo per dare un senso “a posteriori” a scene che appaiono inizialmente anarchiche, randomiche. La follia di Nolan sta nel volerci spiegare quasi scientificamente ogni gesto, ogni oggetto, ogni parola del suo delirio crono-palindromo. Eppure non basta a capire tutto.

Il valore di un film così si misura nell'intervallo che si estende tra il non capirci nulla (ma è impossibile, di spiegazioni ce ne sono) e il voler appurare ogni singolo passaggio, tracciarlo matematicamente in un grafico dell'assurdo. Nolan trionfa quando le nostre sinapsi si inceppano tra ciò che viene spiegato razionalmente e ciò che sfugge, che va oltre. Dobbiamo godere dello spettacolo (che è inedito nelle modalità, credo, ma non voglio anticipare nulla) e delle vertigini dei paradossi, guardare giù nell'abisso ma restando nella luce.

Il cinema è anche questo, un pretesto iperbolico per girare quella tal scena che ossessiona il regista. Le leggi della fisica? E chi se ne importa! Inventiamo un mondo, un tempo, un futuro.

Qui siamo sulla cima più vertiginosa della visione di Nolan, ma più si sale più le cadute rischiano di essere rovinose. E dopo una prima visione viene da dire che i sacrifici posti sull'altare dello spettacolo risultano assai preziosi, ci costano caro. E non parlo dei deliri fantascientifici, ma proprio del piano della narrazione più classica. Sono diversi i passaggi frettolosi che si disperdono nella già difficile comprensione del tema centrale, alcune tessiture da doppio gioco spionistico non convincono appieno. Manca il momento di decantazione, continuiamo a rincorrere il dubbio che le cose non stiano in piedi. E questo non fa bene alla visione. Il rovello logico sì, la confusione no.

Forse una seconda visione appianerà gli spigoli, ma temo che al contempo toglierà fascino al dettato più propriamente action e fantascientifico. Perché la vertigine che si prova la prima volta non torna mai uguale la seconda, la bellezza stessa di questi film sta nel non capirli del tutto, nel percorso che fai con la testa mentre scorrono rapide le sequenze. Come Inception, rivisto sembra una grande coreografia con personaggi come comparse, omini da crash test.

A maggior ragione ora che Nolan scrive tutto da solo, senza l'aiuto del fratello, e già in Dunkirk sembrava aver scelto di ignorare quasi deliberatamente i ritratti. In Tenet ci sono un paio di attori bravi che tirano su la componente umana della storia (adoro Kenneth Branagh, cattivo vero), ma resta la sensazione che Nolan usi le persone come fossero ingranaggi, numeretti. Non è veramente interessato al lato umano, anche se sembra enfatizzarlo oltremodo.

Tutto questo rientra nel prezzo, accettabile, da pagare per salire sulle sue montagne russe. E non ce ne sono altre simili in giro.

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