In un mercato discografico vario ed incalzante quale è quello attuale, in cui i tempi di obsolescenza divengono davvero ristretti, in cui ogni uscita deve necessariamente stupire un pubblico sempre più esigente e facilmente annoiabile, e trovare un "post" diviene l'imperativo fondamentale per ogni musicista che abbia un discreto seguito, anche a costo di forzare il fisiologico processo di crescita artistica (e lo sanno bene artisti come Radiohead, Bjork e Tool, idolatrati fino a ieri, oggi costretti a fare i conti con il loro ingombrante e a quanto pare insuperabile passato), diviene interessante andarsi a riascoltare i due capitoli di "Musick to Play in the Dark", di recente ristampati, dei leggendari pionieri del dark-industrial Coil.

Con questi due album, usciti rispettivamente nel 1999 e nel 2000, Balance e Christopherson, coadiuvati dal tastierista/poli-strumentista Thigpaulsandra (già collaboratore della band dai tempi dei quattro EP "Spring Equinox", "Summer Solstice", "Autumn Equinox" e "Winter Solstice", che inaugurano l'era ambientale dei Coil), dimostrano di fatto che è possibile stravolgere il proprio sound e conservare nitida la propria identità, senza farsi troppe seghe mentali sull'iter evolutivo da intraprendere.

Con il primo tomo di questa accoppiata, i Coil abbandonano il formato canzone e giocano la carta dell'approccio strumentale, ma stiano pure tranquilli coloro che non possono fare a meno della voce di Balance, poiché il folle singer non mancherà certo di raggelarci con oscure ed inquietanti incursioni: il suo vocione narrante, di fatto, sarà ben presente e, come un Caronte pervertito chiamato a traghettarci per i diversi gironi dell'Inferno, costituirà la perfetta didascalia per le immagini malsane che la musica qui presente sarà in grado si proiettare nella nostra mente. Sei pezzi per un totale di sessanta minuti, dieci in media per ciascuno, se la matematica non è un'opinione. I suoni si dilatano, si fanno meno aspri e caustici, e la componente noise/rumoristica si va a stemperare nella ariosità delle tastiere e nell'insano ribollire dell'elettronica più minimale. Le atmosfere, come suggerisce il titolo dell'album, si fanno torbide e notturne, senza comunque perdere la componente d'insana morbosità che da sempre caratterizza il sound della band.

E non è un caso che il leit motive dell'intera opera sia proprio la luna, che campeggia in copertina, placida e silenziosa, sullo sfondo di un tenebroso cielo notturno, ma anche motivo ricorrente nei testi che accompagnano le composizioni. La luna, entità enigmatica, affascinante ed al tempo stesso misteriosa, sensuale ed inquietante, da sempre guardata con fascino e timore, tanto cara agli innamorati nelle notti più romantiche, quanto temuta nell'immaginario collettivo come detentrice di poteri oscuri ed incontrollabili, presagio del male, simbolo della follia, è di fatto il richiamo ideale per descrivere l'ambiguità della musica qui proposta, davvero difficilmente catalogabile.

Molti parlano di ambient, ma in realtà è più lecito parlare di post-industrial, in cui l'abbandono del formato canzone è solo una scusa per permettere a Balance e Christoperson di fare un po' il cazzo che pare loro, un modo per dare maggiore libertà e respiro alle proprie trovate, senza dover necessariamente sottostare ai tempi ristretti e alle forme strutturate che il formato canzone impone. Una musica ipnotica, mai sguaiata, a tratti fantastica e surreale, che si va a costellare delle manipolazioni elettroniche più perverse. Una musica fatta per generare immagini nella mente dell'ascoltatore e che a me piace appunto definire "moon-music" (come suggerisce la strofa finale della song iniziale, che recita "this is moon-music, in the light of the moon"). Un viaggio onirico, chiaroscurale, apparentemente dominato dalla quiete ma che porta in sé una "lucida follia", che è in grado di incutere paura proprio perché la perversione viene ridimensionata, calcolata e razionalmente controllata, come solo i più pericolosi sanno fare. E l'impressione è quella di una dolce ninna-nanna cantata da un serial killer, e l'effetto è quello di sprofondare ed assopirsi, cullati, nelle braccia del proprio carnefice. I Coil non hanno il rigore di chi il dark-ambient lo fa per davvero, né sono dei maestri dell'elettronica, e tanto meno possono essere definiti dei musicisti eccelsi o dei lungimiranti avanguardisti. Tuttavia hanno la spigliatezza e la faccia tosta necessarie per fagocitare i più disparati generi musicali, metabolizzarli e cavarne qualcosa di estremamente personale.

L'opener "Are you Shivering?", per esempio, fra i cori angelici di Drew McDowall e il vocione inquietante di Balance, svela il lato più gotico e minaccioso della band. Ma già la successiva, "Red Birds Will Fly Out of the East and Destroy Paris in a Night" (grandissimo titolo!), cambia le carte in tavola: aprendosi con un giro ipnotico che sembra uscire da un album dei Tangerine Dream, finirà per trasformarsi in un'orgia sonora in cui la techno più lisergica viene ad essere violentata dalle incalzanti eiaculazioni dell'elettronica più deviata, chiamata a simulare un orgasmo selvaggio. "Red Queen", invece, è un jazz spaziale che mette le ali al Badalamenti di Twin Peaks e ci riporta ai toni crepuscolari che il titolo dell'album impone, non disdegnando certe ambientazioni noir che non sfigurerebbero affatto in un album come "Outside" del Duca Bianco. "Broccoli", che mi ricorda vagamente certi esperimenti del Robert Wyatt di "Rock Bottom", gioca sul contrasto fra un canto lontano e alienato e i soliti tenebrosi contrappunti di Balance, con il risultato di farci piombare nell'abisso dell'angoscia più raggelante. "Strange Birds", invece, è uno scherzo di insano rumorismo minimale che richiama certi episodi del passato più remoto della band. Un passaggio forse fine a se stesso, ma che costituisce il sentiero ideale per pervenire all'estasi onirica della conclusiva "The Dreamer is Still Asleep", l'apice dell'album ed uno dei più bei pezzi targati Coil, che chiude le danze all'insegna di un pop sofisticato ed ipnotico, in cui Balance torna finalmente a cantare, regalandoci una delle sue più belle interpretazioni di sempre.

"Musick to Play in the Dark - Vol. 1" è secondo il mio modesto parere un album veramente imperdibile, per l'originalità, per il potere estraniante, per la cura maniacale con cui è confezionato, per i suoni veramente mostruosi. Non gli do il massimo dei voti solo perché dargli 5 sarebbe un'offesa tremenda a signori come Klaus Schulze e Florian Fricke, i veri maestri della musica da ascoltare al buio.

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