Dopo il debutto col botto, avvenuto nel 2007 con l'ottimo "Loud Minority", tornano a tre anni di distanza i Crazy Lixx, dalle fredde lande svedesi con furore.

Autori di un hard rock fortemente debitore delle sonorità anni '80, ma senza per questo risultare vecchi, anacronistici o sorpassati, i quattro di Malmö infilano in questo nuovo prodotto 11 tracce, in cui è veramente difficile trovare punti deboli o cadute di stile, sempre tenendo ben presente la lezione impartita dai mostri sacri del genere (i nomi variano dai soliti Skid Row ai Poison ai Bon Jovi, ma in alcune scelte di voci e controcanti non è raro sentire echi dei Def Leppard o persino Winger), ma senza per questo peccare di poca personalità o scarse capacità, anzi.

Innanzitutto le capacità tecniche individuali dei componenti sono di tutto rispetto, a partire dal tono ora dolce ora graffiante della voce di Danny Rexon, fino ad arrivare alla robusta sezione di accompagnamento Rivano-Cirera al basso e alla batteria; alla chitarra il "nuovo arrivato" Andy Dawson, che sostituisce il defezionario Vic Zino (passato, praticamente subito dopo il debutto discografico, alla corte degli Hardcore Superstar) senza farlo rimpiangere, dimostrando invece grande perizia e ottimo gusto melodico negli assoli, oltre alla giusta capacità di comporre riff graffianti.

Disco nel lettore, tasto "play" e il fade-in di "Rock and a Hard Place" mette subito tutto in chiaro: chitarra trascinante, voce che irrompe e grandi cori, per un ritornello che già si stampa in testa al primo ascolto. L'attitudine a scrivere pezzi orecchiabili ma mai banali come nella miglior tradizione hard rock viene confermata dalla seconda traccia, "My Medicine (R.O.C.K.)": anche qui un ritornello vincente e un break centrale a più voci, perfetti cori da stadio da urlare a squarciagola.

Scorrendo le tracce che compongono il lavoro si nota l'assenza, rispetto all'album precedente, di canzoni più dure e veloci in favore di brani mid-tempo più melodici, scelta che potrebbe far storcere il naso, ma se la qualità si mantiene sempre sul livello medio-alto c'è veramente poco di cui lamentarsi (ascoltare "Children of the Cross" dove oltre a un'intro di chitarra acustica campeggia, manco a dirlo, l'ennesimo ritornello vincente; o ancora l'oscura "The Witching Hour", il brano più pesante del lotto). Anche sul versante delle ballad si va sul sicuro: chi preferisce un ritmo più incalzante troverà perfetta "Blame It on Love", mentre chi predilige atmosfere più sdolcinate non potrà lamentarsi di "What of Our Love".

Altri brani meriterebbero menzione (la potente "21 'til I Die", la festaiola "She's Mine"), ma le coordinate su cui si muovono sono sempre i soliti: ritornelli che si ficcano nella testa di chi ascolta e non la lasciano più, una sezione ritmica sempre ben presente e degli ottimi assoli, precisi, melodici, mai sopra le righe.

La "next big thing" del rinato movimento hard rock scandinavo, come erano stati definiti dopo l'esordio, è tornata più in forma che mai; anche qui valgono le stesse considerazioni che ho espresso su "Loud Minority" e cioè: chi cerca l'innovazione stia alla larga, chi cerca solo 45 minuti di puro e semplice hard rock, si faccia avanti senza timori, troverà di che esser soddisfatto... ancora una volta.

"New Religion": in realtà una religione vecchia di quasi 30 anni, ma ancora dannatamente attuale se suonata con competenza e passione come questi quattro ragazzi, credibili, attuali e pure capaci di compensare un po' di mancanza di freschezza rispetto al debutto, grazie a capacità e ispirazione: una realtà ormai affermata nell'affollato panorama hard rock scandinavo, capace ultimamente di sfornare band del genere a livelli industriali; scena di cui i Crazy Lixx possono dirsi tranquillamente tra i portabandiera.

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