Proemio.

Fresco ricordo, la fugace corrente è domata:

la mia casa trentadue anni prima.

Rosse bandiere, si affollano le lance dei contadini,

mani nere levano in alto la frusta dei tiranni.

Poiché si immolano, in molti si immolano, la loro volontà si rafforza,

osa comandare a sole e luna: crea nuovi giorni.

Visione felice: mille onde percorrono risaie e campi di leguminose;

intorno alla valle gli eroi scendono nella nebbia della sera.

Mao Zedong [毛泽东],

Giugno 1959.

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§ 1.

Guardare in faccia la morte.

Vedere la morte, senza distogliere lo sguardo.

Non è certo un bello spettacolo: scarnifica ogni menzogna, con schiocco di dita, denuda i nostri fantasmi.

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§ 2.

Alla voce “uomo del suo tempo” si trova senz’altro Kurt Erich Suckert, al secolo Curzio Malaparte.

Un socialista?

Una testa di cazzo?

Un proto-fascista?

Un’anti-fascista al confino?

Un dandy?

Un grande scrittore?

Un cristiano?

Un voltagabbana?

Un comunista?

Un teorico del Colpo di Stato?

Tutto questo e nulla di tutto questo, è stato il mio conterraneo Malaparte.

Da lui ho appreso, inequivocabilmente, che la coerenza di un uomo è sempre qualcosa di insondabile.

Inutile discuterne.

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§ 3.

Anche oggi non accenna a nevicare.

Sarebbe bello potersi isolare un po’ dal mondo.

Il sole, chissà come, brucia.

Le piante però hanno solo voglia di morire, sonnecchiando.

Quest’estate d’inverno rassetto le librerie: ho tra le mani, chissà come, questo tardo libro di Malaparte.

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Chiusa.

In Cina cadde ammalato.

S’innamorò dello scintillante candore della gioventù della Rivoluzione Culturale.

Dell’uomo in quanto individuo.

Dell'uomo in quanto uomo.

Proprio in Cina, quando ancora nella sua città —oggi una seconda Cina— di cinesi mai se n’eran visti.

In Cina riconobbe, disse, il volto di Cristo, proprio nella gioventù cinese distruttrice d’ogni icona sacra.

Che nodo inestricabile.

Inutile parlarne.

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