Le ceneri di questo sfortunato musicista country rock dell’Illinois, morto a causa di un malaccio ancor cinquantaseienne, sono state disperse al largo delle coste del Maine ormai quasi otto anni fa e per forza di cose il ricordo suo dalle nostre parti, già piuttosto flebile al tempo della sua piena attività musicale, è ora quasi del tutto sbiadito. M’incarico perciò di provare a riportare Dan un po’ nell’attuale considerazione, vergando due righe a proposito di uno dei suoi tanti lavori e precisamente il quarto di carriera, uscito nel 1977.

E’ l’album che mi fece conoscere quest’artista: tutto merito di una ragazza americana con cui venni a contatto mentre che soggiornava in Italia ospite di gente che conoscevo. Essa, vedendomi volentieri alle prese con Eagles, Crosby Stills & Nash, Poco e compagnia nei miei programmi presso un paio di radio private, nonché nelle mie scalette da disc jockey del sabato sera in un locale del posto, mi sparò una sera la seguente frase: “In my opinion the best country rocker is Dan Fogelberg, you have to listen to him, indeed!”. Minchia, ma chi cacchio era ‘sto Fogelberg? Per fortuna alla radio avevano un suo album vale a dire questo qui, intonso, ignorato, col vinile ancora appiccicato alla busta interna. Me lo portai a casa e gli diedi un bel po’ di goduriosi ascolti, prima di riporlo nuovamente nella scansia da dove lo avevo asportato.

Fogelberg suonava la chitarra acustica, il pianoforte e la chitarra elettrica in ordine di preferenza, oltre a cantare con una voce accorata e romantica, alla lunga discretamente stucchevole ai più. Un paio d’anni prima dell’uscita di quest’album aveva considerato, e poi rifiutato, il posto negli Eagles lasciato vacante dal defezionario Bernie Leadon, opportunità infine colta dal più sanguigno Joe Walsh. In quest’opera, nello specifico, lascia fare parecchio anche al suo produttore Norbert Putnam il quale, in fase sinfonica anzichenò gli farcisce, tramite lo specialista arrangiatore David Campbell, due o tre ballate con un accompagnamento orchestrale imponente.

E’ il caso dell’apertura eponima del disco, ai massimi livelli di pomposità e gloria, senza economia a riguardo di rullatone di timpani e spostamenti d’aria di ottoni e legni. Molto più tipica e nelle corde del cantautore titolare la successiva “Once Upon a Time”, scandita dal bel lavoro sulla chitarra acustica e dalle ricche armonie consentite da un trio vocale eccelso: Fogelberg stesso + Don Henley degli Eagles + John David Souther, a sua volta dell’entourage delle Aquile.

Altri country rock eccellenti sono “Promises Made”, dall’andamento rotolante e denso grazie a squisiti ricami di armonici di chitarra, la iper romantica e sognante (come titolo pretende) “Scarecrow’s Dream”, la plumbea “Loose Ends”, il rockeggiante e polemico finale “False Faces” che vede al lavoro anche l’amico chitarrista Joe Walsh, in passato produttore del suo primo successo “Souvenirs”.

“Nether Lands” è un lavoro compatto, senza quasi divergenze qualitative fra i vari brani che lo compongono, decisamente ricco di strumentazione ed arrangiato molto “densamente”, in pratica l’opera più magniloquente ed enfatica del nostro. Daniel Grayling Fogelberg era un artista umile, sensibile e generoso… è sempre un piacere sfilare dalla ciditeca uno dei suoi lavori e risentirselo. Quest’opera a casa mia è una delle sue più gettonate, insieme al capolavoro “The Innocent Age” e all’altrettanto valido e già citato “Souvenirs”.

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