Luigi "Baustelle" Lo Cascio e Alba Krombacher sono una felice coppia borghese: alta pelletteria, tonalità seppia, due bravi figlioletti, Sandro e Anna, niente luce elettrica in casa, serate passate a giocare a scarabeo a lume di una Feuerhand vintage e a scroccare l'audio dell'Eredità dalla casa dei vicini.
Ma a Luigi questa vita appartata dà l'angoscia. Pure comprensibile.
Per svecchiarsi e ritrovare il se stesso dei primi album, intraprende una relazione con una hipster di qualche anno più giovane, e sadico ma onesto lo confessa a sua moglie Alba. Già così sarebbero cazzi. Il punto è che Alba si mostrerebbe anche disposta al perdono, se non fosse che Luigi della giovane se n'è innamorato. Li vediamo giochicchiare e scattarsi istantanee porno, e quando due arrivano a scattarsi delle istantanee vuol dire che hanno raggiunto il grado di affiatamento massimo, che le ricariche costano e non si può rischiare di buttare via niente. Li vediamo anche giocare con un nannolo, uno strano manufatto in legno. Non quello che pensate voi, eheh, una specie di minicassettiera in cui ripongono le loro Polaroid e che vediamo poi assurgere al ruolo di correlativo oggettivo: per dire la poetica.
Alba (ricordiamo sorella di Alice, regista di mappazzoni indigeribili come Lazzaro Felice, che vi consiglio di guardare se avete da risolvere delle crepe in casa per quanto cazzo stucca) da lì in poi perde completamente la trebisonda, smatta, vibra manrovesci, strattona per strada, si dà alla distruzione dei prestigiosi suppellettili del loro centralissimo vista duomo, sequestra di persona Luigi che aveva espresso il desiderio di andarsene.
I bambini, che per ovvi motivi già non erano delle pasque, si intristiscono ulteriormente (vediamo Sandro guardare intenso il cielo dal finestrino di una macchina: metaforona della fuga), per poi crescere e diventare Giancarlo Giannini e Giovanna Mezzogiorno, ovviamente pieni di turbe.
Sì, perché Lacci si disarticola su due piani temporali diversi: i soliti anni ottanta e un futuro distopico (per il povero Lo Cascio) in cui la ricongiunta coppia Alba e Luigi s'incarna in Laura Morante e Silvio Orlando, che vediamo guardare pensieroso il mare (metaforone della fuga) e sentiamo pronunciare con la sua voce mocciosa una massima sull'amore del tutto arbitraria, come è uso nei drammi sentimentali: «per stare insieme bisogna parlare poco. L'indispensabblo».
Ah, direte voi, ma allora le istantanee erano l'unica soluzione fotografica possibile, non un'hipsterata! Balle: i rullini si usavano già negli anni ottanta, e pure la luce elettrica, solo che gli scenografi quando devono ricostruire il passato si lasciano prendere la mano e fanno queste vaccate in cui c'è tutto un emporio di oggettistica vintage senza contesto. Invece L'eredità effettivamente non c'era, errore mio.
Che dire. Daniele Luchetti firma un dramma intenso che promette bondage e non mantiene, retto dalla caratura degli attori, luci naturali, fotografia elegante ecc., che insieme al sottotitolabile Favolacce dipinge un ritratto impietoso dei ruoli genitoriali e cazzi e mazzi. Eventualmente, capolavoro.
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