Un mondo a parte quello di Danny.
Sarebbe utile partire bandendo ogni pregiudizio. Difficile, ma non impossibile, dimenticare il promo di attestazioni di stima da parte di artisti vari (gente del calibro di Tom Waits e Mr. E, Micheal Stipe e Lou Reed). In effetti la storia di questo personaggio sopra e sotto le righe (a seconda degli umori e delle fortune) comincia molto in là nel tempo. Siamo alla fine degli anni Sessanta. Un giovane boozer imbraccia la chitarra e sforna dischi assurdi e strampalati (Disco Diarrhea); macina chilometri e gira l'america novello Zappa più folk ma non meno invasato. Successi zero, per come la so io. Epperò si guadagna la stima, l'onore e qualcosa da bere. Poi il silenzio, vuoi per la mala lungimiranza della discografia, vuoi per problemi di fegato o donne. Oppure (non è da escludere, conoscendo il tipo d'uomo) per noia. Fatto sta che gli anni di attesa diventano parecchi (16?). Succede poi che Waits passa alla Anti e qualche anno dopo si porta dietro due amici su tutti. Uno è Danny.

Così il buon Cohen (tra l'altro... che bel cognome!) si mette al lavoro e cava dal cilindro un mondo di intero di conigli deformi, bastardi e malandrini anzichenò... E poi chiama a raccolta buoni musicisti, ottimi bevitori e un certo John LaPado. Il disco è pronto. Ve ne parlo in semplicità, quel che viene.
La prima traccia è un paradigma d'intenzioni (The Devil and Danny Cohen). Schizoide nel far convivere all'interno dello stesso pezzo due melodie diverse e dissonanti con esiti di perfetto amalgama. Un mago, dicevamo. Si prosegue oltre e sembra un sogno malato in odore di fantasmi e Daniel Johnston. Poi, Motel Sex, a dirci di un Neil Young imbastardito e alticcio. Avete presente una base Morphine diluita e voce da media rossa? Pare di sentire l'alito al sapore nero del tabacco. Quasi una ballata, un tangaccio, di morte il pezzo numero 4.

El Niño , El Niño e siamo al cospetto di sua maestà Tom Waits. Quello dei tempi di Swordfishtrombones. Tappeto di fisarmonica e viola. Lancinante tristezza. Abbagliante. Sembra, a dispetto del titolo, Kurt Weill opera di un tra/vestito da Ute Lemper a 78 giri. Con Still Alive Danny omaggia Lennon (altro suo chiodo fisso) e il pezzo risulta sospeso tra Beatles strafatti e One (U2) rallentata e stonata. Forse una personale Let it be, atto d'amore sincero. Non a caso si sfuma su note inconfondibili. Imagine.
Lucy Lucifer puzza di merda e psichedelia di un Barrett 90enne, tremolante e naif. La chitarra sembra allestita con corde di filo spinato. Piccola e doverosa menzione per Sweltering, un bignami per Casio ed organetto più Ribot clonato nuovo nuovo.

Ora, ne avesse fatto un album di otto/9 pezzi questo sarebbe stato senza alcun dubbio il miglior lavoro del 2004. Così com'è, appare appesantito da minutacci che avrebbero potuto benissimo essere B-sides di qualche singolo, semplicemente se qualche singolo fosse stato programmato (ehhh). In ogni caso, questo è un gran disco. E giuro sulle vostre donne che si tocca la Magia negli ultimi 6 secondi di Alamo Line. Rimborso i delusi.

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