Come può affrontare la morte e la putrefazione della carne un mondo che ormai deifica i corpi in una continua (sovra)esposizione multimediale? Ma è ovvio, trasformandole in un’esperienza interattiva in tre dimensioni per smartphone, tablet e schermi vari. Ci sono i sudari innovativi di Karsh che permettono di osservare i corpi mentre vanno in frantumi sotto terra, come se la visione del disfacimento potesse in qualche modo preservare l’integrità dei sentimenti per una moglie morta o per gli altri cari estinti dei clienti del suo cimitero-ristorante.

E mentre la consorte del protagonista si dissolve e marcisce, il suo corpo rivive e perdura come un’illusione nella realtà aumentata, una proiezione elettronica che simula quelle forme ormai perdute. E l’amore di Karsh (un ottimo Vincent Cassel) sembra insistere solo su quelle, come un feticcio, incapace di librarsi un poco più in alto e oltre.

Cronenberg sembra costruire una duplice riflessione-rompicapo. Da una parte c’è la sua figura di cineasta, il regista-autore rappresentato dallo stesso Karsh che si interroga sulla sua fama morbosamente legata alla corporeità e a tutte le sue degenerazioni. Dall’altra parte il film sembra deragliare volutamente in un incubo labirintico incomprensibile che fa evidentemente la parodia dell’attuale mondo dominato dalla post-verità, dal complottismo spinto, dalla pervasività della tecnologia e dell’Ai (sempre un po’ sospetta), da un edonismo carnale ormai privo di anima e valori.

E per assurdo (solo in apparenza) il regista per eccellenza del body horror giunge a una durissima critica alla società dei corpi esposti e venerati come unico valore. La moglie Rebecca (Diane Kruger) va in frantumi, è mutilata, ma non per un complotto russo-cinese, e nemmeno per le oscure trame di un suo professore ex amante di stanza in Islanda. Sono i suoi sentimenti (di Karsh) corrotti dal vizio carnale (nuove donne e amanti sempre poco “ortodosse”) che mortificano, mutilandola, la proiezione nella realtà virtuale della donna.

Come a dire: non esiste tecnologia in grado di preservare le forme ideali dell’amore, e non è la morte che uccide, ma la corruzione dell’animo. In un mondo labirintico, dove il surplus di informazioni allontana dalla verità invece di avvicinare, il percorso morale dell’individuo verso la saggezza e la comprensione-accettazione del dolore diventano sempre più difficili, se non impossibili.

Siamo perduti tra i nostri feticci, ognuno con il suo complotto, la sua patetica porzione di verità, la sua grande o piccola dose di perversione fomentata da schermi, video, smartphone che ci perseguiteranno anche nella tomba.

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