Introduzione:
Pigro, godereccio, scavezzacollo, tossico ed ubriacone, quest’hippy californiano dalla scorza sorprendentemente dura per quante ne ha combinate a se stesso e agli altri, ha sempre avuto bisogno di appoggiarsi a qualcuno per mettere insieme e pubblicare un po’ di repertorio musicale a suo nome. Ed in questa occasione, a 75 anni, (siamo nel 2016… attualmente va per gli ottanta!) ha scelto la persona giusta: Michael League il leader dei newyorkesi e non troppo conosciuti Snarky Puppy, ovvero un tale con quarantatré anni meno di lui sul groppone.
E così dopo Roger McGuinn con i Byrds, Stephen Stills con i CSN, mezza San Francisco nel suo primo disco solista del ‘71, l’amico Graham Nash nel loro duo, il pianista session man Craig Doerge per il secondo disco solista “Yes I Can” di fine anni ottanta, l’impiccione ma munifico Phil Collins (vedi sotto) per il terzo lavoro “Thousand Roads” del 1993, il figlio illegittimo che non porta nemmeno il suo cognome, James Raymond, nei CPR a cavallo dei due secoli e in seguito per il quarto album solista del 2014 “Croz”... lo stimato Crosby ha trovato ancora una volta chi si possa prendere cura delle sue idee musicali, discriminandole ed organizzandone l’esecuzione e dando il migliore aspetto al tutto: operazione in questa occasione perfettamente riuscita.
Contesto:
Ebbene, questo Michael League di mestiere fa il bassista in un gruppo strumentale, epperò qui da Crosby lo possiamo ammirare come chitarrista principale, arrangiatore, produttore, bassista naturalmente e infine come seconda, ottima voce! Che un tizio solito a suonare jazz e fusion insieme ad una quindicina di altri strumentisti se la cavi così bene a fare il Paul Simon in un duo acustico insieme al “Garfunkel” David, è per me motivo di grande meraviglia.
Il Crosby anni dieci del ventunesimo secolo è dunque qui ben accudito: con tutte le sue rughe, i pochi capelli rimastigli ostinatamente tenuti lunghi, i baffoni al loro posto che ormai è rimasto solo lui a indossarli in questo mondo attuale di pizzetti e barboni, la voce intorbidita dagli stravizi ma ancora con qualcosa di celestiale (solo lo schiocco imperfetto delle labiali suona un poco di deteriorato), il Crosby dicevo strimpella qualcosa qui e là ma il grosso del lavoro lo fa quell’altro, colle sue mani educatissime e le sue idee chiare. Alla voce invece il vecchione non risparmia quel po' che gli è rimasto, e domina: grandi e profondi, intonatissimi cori multi stratificati qua e là.
Questo anziano fricchettone tuttora funzionante è un miracolo di natura, un’aspettativa di lunga vita per ognuno di noi! S’è fatto la galera negli anni ottanta, s’è fumato bevuto inalato sniffato tutto lo stato dell’arte dei cosiddetti stupefacenti, tiene due diversi tipi di diabete e viaggia d’insulina quotidiana... Aveva anche la cirrosi ma ha risolto con un trapianto di fegato risalente ormai ad un quarto di secolo fa, e pagato da… Phil Collins! Sissì, l’ex prezzemolo del rock, che finché la salute lo ha sostenuto è stato in mezzo ai coglioni di pressoché tutti i musicanti al mondo, inglesi americani canadesi e brasiliani, da folkettari a metallari, suonando e producendo (e rovinando anche parecchi dischi dei suoi assistiti a mio parere, tipo Clapton). Ma in quell’occasione fece generosamente la cosa giusta per il pazzo Croz, al solito senza una lira e in fin di vita, permettendogli così di arrivare fino ai giorni nostri a donarci ancora un po’ di musica suggestiva.
Punti di forza e lacune:
La voce sua, insieme alle mani d’oro e alle orecchie fine del suo partner; i suoni cristallini; i cori profondi; la strumentazione minimalista eppure rigogliosa, la bella copertina (il faro fotografato non sta in California bensì sull'Atlantico e in Portogallo) sono le cose riuscite di quest’opera.
L’ispirazione sporadicamente meno salda, lo sfibramento dell’emissione vocale del nostro… altro non si può rilevare come minus a questo glorioso e appagante Crosby dei tempi recenti.
Vertici dell’album:
“Things We Do for Love” ha l’incarico di far partire bene il disco, ci riesce e sorprende quasi subito, con un terzo accordo inaspettato e molto nutriente cesellato dal manipolo di chitarre acustiche in azione, in particolare dalla 12 corde di League. David ha la lingua un po’ impastata quando estrae la lettera “c” specialmente, ma per il resto viaggia benissimo.
“The Us Below” è altrettanto suggestiva, con i magici, risonanti intrecci delle varie acustiche che descrivono un riff ostinato ed in sospeso.
Meravigliosa l’apertura caldissima a coro concepita nel ritornello di “Look in Their Eyes”, dopo una strofa tesa e bluesata in accordo di settima. Tanto bello che l’arrangiamento lo reitera a cappella per chiudere la canzone.
“Paint You a Picture” è intimissima e toccante, con una melodia a scendere così malinconica e accorata. Crosby cerca di farsi perdonare da qualcuno, implorandolo o implorandola di lasciargli dipingere un quadro per esso/essa.
Il resto:
“Drive Out to the Desert” è l’unica composta dal solo Crosby ed è tipicissima del suo stile, con quell’andatura rilassata e piena di pause. Il canto è sbocconcellato, una frase alla volta con quell’anziana ma sempre familiare voce.
“Somebody Other Than You” gode di uno di quegli arpeggi aperti e serrati caratteristici del nostro. Più bella la parte chitarristica (tanti accordi!) che lo sviluppo melodico della voce. Più che dignitosa.
La musica di “The City” è del solo Michael League e infatti la città in soggetto pare proprio essere la sua New York. Il brano è un tantino più urbano, col suo riff secco e cadenzato e gli arricchimenti di chitarra e basso elettrici e di organo.
“Wait Makes It So” ha un arpeggio già sentito e una parte vocale non molto memorabile, mentre nella conclusiva “By the Light of Common Day” ciò che colpisce è la presenza di due coriste, per una volta allarganti la timbrica delle armonizzazioni e dei cori fino a quel punto appannaggio dei soli Crosby e League multi stratificati. Ma c’è una spiegazione: la musica è di Becca Stevens una delle due giovani cantanti (il testo è di Crosby). Questo quartetto è quello che ha portato in giro per gli USA il contenuto di quest’album (li si può ammirare su Youtube) e che sta continuando a sfornare album a nome David Crosby… un nonnetto che si è messo a correre, nel senso di produrre un disco ogni due anni, da quasi ottantenne, dopo che non lo aveva fatto per tutta la sua vita sino ad ora!
Giudizio finale:
E’ un disco di chitarre acustiche, giusto un tocco di piano o di organo o di elettrica in un paio di occasioni. E niente batteria, mai! Due belle voci (una bellissima) e cori, sempre squisiti e a volte ricchissimi. Trasparente e profondo, intimista ma sonoro, californiano come è logico che sia dato il soggetto ma non così scontato dato che il socio è della costa est.
Lavori così sono senza prezzo al giorno d’oggi. Quest’incontro fra l’attempato promotore e sviluppatore del folk rock nel suo glorioso periodo d’oro degli anni sessanta e settanta, con un omino che potrebbe essere suo nipote ma che riesce a mettersi sulla sua stessa, “analogica” lunghezza d’onda, è un mezzo miracolo… L’album ha le sue pause d’ispirazione, ma è delizioso e brillante, magnificamente prodotto. Quattro stelline e mezza per me.
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