A clonare gli Anglagard ci avevano provato per primi gli svedesi Sinkadus, autori di due album molto buoni sulla scia dei più quotati (e ormai mitizzati) compatrioti. Dopo queste due prove il silenzio, ma qualunque appassionato di prog avrebbe scommesso che un nuovo eventuale gruppo-clone non sarebbe potuto scaturire che dalle fredde terre scandinave. Ed invece, a sorpresa, se ne escono questi Deadwood Forest, gruppo proveniente dall'assolato Texas, terra di petrolio ed armadilli, quanto di più lontano si potrebbe immaginare dalle ghiacciate foreste di conifere che ricoprono la Svezia. Ebbene si, questo gruppo, può a ragion veduta essere considerato una sorta di clone degli Anglagard anche se la provenienza geografica rende inevitabili alcune differenze. Ma procediamo con ordine: il primo punto di contatto con gli Anglagard è rappresentato da Mattias Olssonn, drummer del mitico quintetto svedese, qui in veste di produttore dell'album. Altre similitudini sono date dall'uso di sonorità e tematiche di ispirazione crimsoniana caratterizzate da abbondanti tappeti di Mellotron, alternanza tra delicate pause acustiche e fasi molto più concitate e un po' schizoidi (con una chitarra decisamente frippiana e un drumming scatenato), ed un senso di cupezza e drammaticità che pervade le parti strumentali alle volte decisamente fredde e cerebrali. A contrasto di ciò si pongono le parti cantate che fugano ogni eventuale dubbio circa la provenienza della band (in quanto tipiche di un modo tutto americano di comporre progressive) e che alleggeriscono molto la cupezza del lavoro in quanto piuttosto solari ed ariose (in una sezione di "King Of The Skies" si può curiosamente ascoltare una melodia che ricorda molto da vicino, arrangiamento compreso, "Two Towers" dei tedeschi High Wheel). In definitiva un ottimo album di progressive sinfonico che non potrà deludere gli estimatori di simili sonorità e che stuzzicherà non poco le papille gustative dei tanti fan degli Anglagard. Positivo.
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