Due sono le cose.
O l’arcaico, ellenista, vocalmente ghiaioso, barbagiannuto Demis ha estroflesso dallo scalcagnato cilindro, in virtù di questa ventennale rentré, un inatteso quanto oramai improbabile bijoux composito perlopiù da corinzie rantolazioni gutturo-fonetiche in salsa soul-pop-rock para-modernista
visto il misurato benefizio provocato da svariati brandelli ("September", "Love Is", "On My Pillow") contenuti in cotanta consunta, calcificata, canora riesumazione, starei di fatto sancendo l’inesorabile, incontrovertibile oltrepasso della soglia del personale rincogliocillimento.
Sarei tentato di optare per la seconda che ho detto.
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