Puntualissimi nel rispettare le scadenze quadriennali, i Depeche Mode pubblicano il loro nuovo album Spirit già accolto da pubblico e critica come miglior lavoro almeno da Playing The Angel. Certo, da Speak and Spell sono trascorsi 36 anni e per Dave Gahan, Martin Gore e Andrew Fletcher, un po’ di quell’attitudine synthpop tutta giovanile degli inizi, oppure, dark ed industrial dei gloriosi anni 80/90 è cambiata ormai da tempo, anzi notevolmente trasformata (come ad esempio, con la svolta vicina all’ambient analogico di Sound Of The Universe o soul di Delta Machine). In questo quattordicesimo lavoro oltre al familiare tocco standard nel sound dei Mode che comunque appare sempre perfetto e funzionale, come per l’appeal del singolo Where’s The Revolution (con il suo hook geniale “The train is comming/The engine’s humming/so get on board get on board get on board get…”) o della bellissima Back of Backwards, sono i testi a catturare l’attenzione dell’ascoltatore e del fan ultra devoto, più che per l’ottima tessitura e produzione musicale questa volta affidata a James Ford.
I tre di Basildon cambiano registro comunicativo per prendere una posizione “politica” chiara ed inequivocabile, spiattellando al mondo intero la loro rabbia ed il loro pensiero apertamente e senza alcun filtro, con la maturità, lo stile, di quelli che come loro hanno già passato (nonostante tutto) la cinquantina. Già la copertina di Spirit ricorda lo stile soviet di Get The Balance Right, ma se a quei tempi i singoli elettronici dei Mode coincidevano con la diffusione di massa dei primi home computer Commodore Vic 20 o 64 oggi nell’era internet e degli smartphone è l’uomo ad essere totalmente deludente ed arcaico non essendo all’altezza culturale di tutta la tecnologia che nel frattempo ha saputo creare (“We have not evolved, We have no respect, We have lost control (…) We are going Backwards. Armed with new technology Going backwards To a caveman mentality” dichiarano giustamente i Depeche Mode in Back of Backwards).
La cupezza e l’oscurità che pervade l’album dall’inizio alla fine è quasi senza speranza e nasce da questa incapacità di vedere un uscita all’alienazione ed estraneità dei tempi che stiamo attraversando. Cosa manca all’uomo post-moderno? Semplicemente lo Spirito! Ecco perché siamo completamente falliti, fottuti, senza speranza, corrotti nell’anima, disturbati di mente secondo quanto sentenzia Martin Gore in Fail uno dei brani più belli di Spirit. L’essere umano dell’era pre-robotica è completamente alienato da sé, dal suo Spirito, sempre più una pedina anonima da parte di sistemi politico-economici iniqui e corrotti, fomentato da perversioni senza pensiero di tipo mitico-religioso, per cui, amici cari: Where’s The Revolution?
Ora, lasciamo all’ascoltatore farsi un’idea più precisa del contenuto politico ed antropologico urlato e sparso in ogni dove, per il resto l’album è ben equilibrato nella durata dei brani, con delle sorprese e gemme oscure disseminate ovunque come The Worst Crime, la claustrofobica Poison Heart, l’orecchiabile So Much Love. L’interpretazione di Dave e Martin in Poorman è superba, qui i Nostri ci fanno sentire cosa si prova ad essere dei mendicanti, e cosa si nuove dietro di noi quando non guardiamo negli occhi i miserabili! E poi, il frustrante racconto di abbandono della Terra di Cover Me, l’interludio d’amore di Eternal cantato da Gore. Certo, in Scum e in No More (This Is The Last Time) occorre applicarsi, l’ascoltatore deve fare uno sforzo ed immaginare cosa potevano essere questi due bellissimi brani prodotti da Trent Rezon. Tranne per il passo falso di You Move, l’ascolto di Spirit scorre perfettamente e discretamente senza hit travolgenti. Ma questo non è un problema. In attesa di vederli in tour il devoto fan dei Depeche Mode non sa che farsene delle peak experience per un disco uscito in tempi così mediocri come il 2017 (non stiamo mica parlando degli anni ‘80 eh?).
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